Scritto come parti di un memoriale, il romanzo è un vero e proprio diario segnato da una lingua napoletana accennata e ruvida, L’amore assaje (Mondadori, pp. 156, euro 18) segna l’esordio di Francesca Maria Benvenuto con un testo che ricorda e riprende il discorso poetico e sociale di Ermanno Rea da Rosso Napoli a Nostalgia.

DANDO VOCE A UN RAGAZZO di quindici anni recluso per omicidio in un carcere minorile, Benvenuto lavora sulla lingua cesellando pagina dopo pagina una voce narrante insolita e ricchissima di spunti e sorprendenti variazioni. La voce del ragazzo diviene così la voce di una generazione e di una classe sociale invisibile, spesso citata solo all’interno dello spazio stretto della cronaca nera a significare la decadenza di una metropoli come Napoli. L’amore assaje prova invece – riuscendoci – ad andare oltre a una lettura dell’attualità che diviene a tratti violentemente giudicante da un lato o retoricamente lacrimevole dall’altro. Francesca Maria Benvenuto invece illumina e dispiega spazi inediti di un’esistenza troppe volte ignorata e quindi sempre negata, la lingua diviene così il corpo libero di un ragazzo imprigionato.

Il romanzo tiene infatti al centro il concetto di emancipazione e di lotta e le sue conseguenti e necessarie declinazioni: essere liberi significa partire da un sé che Zeno, il ragazzo protagonista, sembra non avere mai avuto e che invece si rivela fortemente sotto il peso di una dimenticata felicità.

LA LOTTA PER LA VITA diviene lotta per la libertà e non per la strada e il suo dominio. Così come la lotta diviene necessaria per riottenere un’identità anche linguistica ora ferita, passaggio fondamentale per Zeno per darsi una nuova possibilità, una vita diversa.

Tutto questo complesso movimento viene contenuto – caricamento e al contempo esploso all’improvviso – in quella che è invece lotta primaria, data dalla lingua che qui prende la forma ibrida e delicata di un napoletano e di un italiano intrecciati tra loro. Un corpo a corpo linguistico che Benvenuto restituisce ai suoi lettori con cura e precisione evitando facili banalizzazioni e semplificazioni folcloristiche. Zeno diventato grande rapidissimamente come spesso capita là dove l’infanzia viene invasa da una vita adulta violenta e discriminante, e trova un appiglio possibile nella disponibilità comprensiva dell’insegnante della scuola del carcere minorile di Nisida dove è recluso. Il passaggio sarà così quello che lo porterà a distinguere la fuga dalla libertà, separando il proprio terribile passato fatto di violenza e vessazioni familiari da un futuro che possa dirsi finalmente diverso.

L’AUTRICE OFFRE COSÌ pagina dopo pagina l’evoluzione linguistica di Zeno tracciandone le paure e le ansie, le fragilità e il desiderio complessivo e profondo di una possibilità di essere diverso, di essere altro. Il napoletano s’innesta nell’italiano e viceversa, in un abbraccio che si fa lettera dopo lettera sempre più armonico. Una felicità possibile, un palesarsi inedito difficile da dire e da sentirsi addosso, come un vestito nuovo, come una festa.