La libertà accademica ha valore eticamente per le persone che essa protegge – studenti, ricercatori e insegnanti – e per la comunità politica. Le violazioni di questa libertà, infatti, hanno conseguenze dirette per chi le subisce, ma finiscono per colpire indirettamente tutti i cittadini.

Lo spazio sottratto alla libera discussione e al libero confronto delle idee all’interno delle istituzioni accademiche rende più difficile per chiunque godere dei vantaggi di una società libera: avere accesso ai migliori risultati disponibili delle scienze naturali e sociali, delle tecniche e della riflessione morale. Sembra assurdo dover difendere questo principio oggi, in società in cui tutti rivendicano la propria libertà come cosa preziosissima, ma le vicende degli ultimi mesi mostrano che anche nei regimi politici che si descrivono come «liberali» la libertà accademica è oggi sotto attacco.

PER SPIEGARE perché questo accade, bisogna ricordare i due profili che definiscono la libertà accademica. È una protezione nei confronti delle interferenze da parte dei poteri pubblici, che sono per loro natura esposti alla tentazione – sia nei regimi democratici sia in quelli autoritari – di piegare l’insegnamento, la ricerca e la discussione delle idee ai propri fini; sia nei confronti delle amministrazioni delle istituzioni universitarie, che non dovrebbero mai oltrepassare il confine che separa una gestione oculata delle risorse dalla pretesa di decidere come si dovrebbe insegnare, fare ricerca e discutere le idee.

Queste attività dovrebbero infatti essere affidate alla riflessione autonoma della comunità degli insegnanti, degli studiosi e dei discenti, che sono gli unici in grado di apprezzare al meglio gli standard normativi da rispettare per realizzare i propri scopi.

Per buona parte della propria storia, le università hanno dovuto combattere per affermare la propria autonomia soprattutto sul primo fronte. In una fase iniziale, la minaccia proveniva dalle autorità ecclesiastiche, che avanzavano una pretesa di controllo in difesa dell’ortodossia dottrinale, contro le deviazioni ereticali. La nascita dell’università moderna, retta da un principio di laicità garantito da norme di rango costituzionale è l’esito di questo primo conflitto per l’autonomia, che trova negli illuministi i propri difensori più eloquenti.

Esemplare, sotto questo profilo, è lo scritto di Kant sul Conflitto delle facoltà (1798), in cui il filosofo sostiene che il potere pubblico ha il dovere di sostenere e difendere la ricerca della verità all’interno delle istituzioni accademiche senza alcun riguardo per i pregiudizi e gli scopi contingenti dei governi. Come ha scritto Paul Guyer, uno dei più autorevoli studiosi contemporanei del pensiero di Kant, questo vuol dire che lo Stato deve supportare l’organo della sua stessa critica. Una formulazione chiarissima del principio della libertà accademica.

Questo modello viene più volte messo in discussione, in primo luogo dai regimi totalitari, ma senza mai essere rinnegato del tutto, e torna in auge dopo la seconda guerra mondiale come un principio centrale degli ordinamenti liberaldemocratici in buona parte dei paesi europei e negli Stati uniti.

Le vigorose proteste che, proprio negli Stati uniti, metteranno in crisi il Maccartismo, trovano nelle università un importante sostegno, e lo stesso accade, nella seconda metà degli anni Sessanta, quando saranno le proteste universitarie a denunciare con veemenza i crimini di guerra in Vietnam.

OGGI SONO quelle stesse università a essere al centro di un nuovo conflitto per la difesa della libertà accademica, reso possibile da una profonda trasformazione delle università avvenuta a partire dalla fine degli anni Settanta. Con l’ascesa del modello dell’università «corporate», che non risponde più ai propri standard normativi interni, ma è soggiogata alla volontà dei finanziatori privati (e questo vale, sia pure in misura diversa, sia nei sistemi come quello degli Stati uniti, prevalentemente privato, sia in quelli europei, ancora, per fortuna, prevalentemente pubblici) e, in ultima analisi a scopi commerciali, la libertà accademica è nuovamente in pericolo.

Si sospendono, e si minaccia di licenziamento, gli insegnanti e gli studiosi che difendono i diritti dei palestinesi, si mettono in atto misure repressive e intimidatorie nei confronti degli studenti che protestano pacificamente, anche se ebrei, utilizzando l’accusa infamante di antisemitismo per stroncare sul nascere un movimento di protesta che potrebbe mettere in difficoltà il governo di Netanyahu.

In vista del 25 aprile, è bene ricordare che in Italia anche il ritorno della libertà accademica è figlio dell’antifascismo e della resistenza. A chi vorrebbe un’università prona, ubbidiente e asservita ai poteri economici e alla destra che li corteggia mettendosi a disposizione per reprimere le proteste, bisogna avere il coraggio di dire «No».