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Pirandello: dentro casa o sotto i flash, l’album della vitaDe La vita che ti diedi resta impressa nella memoria dello spettatore più vissuto la fantastica visione della versione che ne diede Massimo Castri alla fine degli anni settanta, quasi agli albori del suo prolungato lavoro di scavo dentro il teatro di Pirandello. Una prospettiva simmetrica di porte che si aprivano e si chiudevano sui due lati di una lunga scalinata. Da dove quattro donne vestite di nero, quasi indistinguibili fra loro, entravano e uscivano facendo da coro alla protagonista Valeria Moriconi, in uno sfrangiarsi del testo dall’una dall’altra. Facendo propria la «tentazione della tragedia» che in quei primi decenni del Novecento si sviluppava dal dramma borghese. Pochi anni dopo il regista toscano l’aveva riallestito in Francia, con Emmanuelle Riva. E fantasticando si può giocare a immaginare che l’avesse visto allora Stéphane Braunschweig, che nel frattempo è diventato direttore del prestigioso teatro dell’Odéon a Parigi e ora firma da noi questa nuova messinscena (fino a domani all’Arena del Sole, prodotto da Teatro stabile di Torino e Ert).

I TEMPI delle sperimentazioni radicali sono naturalmente lontani, la lettura del regista francese è tutta espressa nel montaggio alternato dell’azione fra due spazi scenici concettualmente opposti. Si parte dallo spazio vuoto del proscenio che si prolunga verso la platea, chiuso alle spalle da una parete nera, dove un divanetto e due seggiole d’epoca evocano una conversazione sempre interrotta. Quando quel diaframma nero si solleva, appare al di là «il teatro» inteso come scatola scenica che riproduce naturalisticamente un interno borghese, la stanza del figlio mantenuta intatta per i sette anni della sua assenza da casa, sul fondo sta il letto perfettamente rifatto dove è morto da pochi giorni. Rendendo permanente il suo essere l’Assente – assente per altro anche nel testo di Pirandello.

È QUESTO infatti tuttora l’elemento di maggiore interesse di questo dramma tutto al femminile, che mette da parte l’usuale dialettica uomo-donna ed è spinto da Pirandello fino a cancellare la stessa necessità fisica dell’uomo. La protagonista donn’Anna ha coltivato per tutto quel tempo l’immagine del figlio fuggito da lei. Quando è tornato, diverso da come lo ricordava, non l’ha riconosciuto. E ora che è morto per lei invece è ancora vivo perché vivo nella sua memoria. Quando irrompe nella tragedia la sua antagonista, l’amante del figlio che ora aspetta un figlio, anche il dramma fa uno scatto. Il tema della maternità prende il sopravvento sugli altri come gioco di specchi, di rifrazioni fra le due donne. E qui certo il gioco è tutto in mano alle attrici, a cominciare da Daria Deflorian, forse alla sua prova più matura. Ma tiene bene il gioco anche la giovane Cecilia Bertozzi e brava è Federica Fracassi in un duplice ruolo che condensa in realtà un’unica figura di portavoce del senso comune dell’epoca (e forse non solo quella). Dopo tutto un tira e molla fra restare e partire, donn’Anna deve infine accettare una separazione che è un sottomettersi alla norma. Il teatro, la finzione sono scomparsi dalla scena. Nella scatola scenica diventata un buco nero è rimasto soltanto il letto. Mentre risuona forte il Requiem di Mozart, lei finalmente lo disfa con violenza e vi si sdraia. Solo allora il fantasma dell’assente appare alle sue spalle. Per farle un’ultima ambigua carezza.