Alias Domenica

La famiglia dei satiri e il tostissimo Mennea

La famiglia dei satiri e il tostissimo MenneaCesare Fracanzano, "La famiglia del satiro (Allegoria dei cinque sensi)", 1645-’50, cm 206 x 256, collezione Gian Enzo Sperone

Il museo circolare di Gian Enzo Sperone: Cesare Fracanzano «Questo pittore era pugliese di Bisceglie, vicino alla Barletta del velocista olimpico... Di qui, nella mia immaginazione, alcuni fili misteriosi, sino a via Garibaldi a Torino: fili che insieme all’alta qualità del dipinto, intrinseco all'arte di Jusepe de Ribera, giustificano la mia fascinazione»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 20 agosto 2023

Quando ho visto la prima volta questo quadro di Cesare Fracanzano, pugliese nativo di Bisceglie, non ho potuto fare a meno di pensare a Pietro Mennea, il tostissimo velocista di valore olimpico, nato anche lui in quella stessa parte della Puglia.
Si sa che il dipinto era stato commissionato dai conti Acquaviva di Aragona, che avevano in quella zona della Murgia, Conversano, un antico castello costruito in parte su resti di mura megalitiche. Sembra che sia rimasto per secoli in mano loro, passando poi, per discendenza, ai Principi Carignani di Alberobello. Anche qui non ho potuto fare a meno di pensare alla mia città di origine, Carignano (Torino), che nel Seicento era nei possedimenti del principe Tommaso di Savoia Carignano, capostipite del ramo da cui discenderanno i futuri re d’Italia, primo fra tutti il re Carlo Alberto. Generalissimo dell’esercito delle armate di Francia e Savoia con il favore del cardinal Mazzarino, era anche zio del famoso condottiero Eugenio di Savoia. Tanta roba!
Due buone sensazioni ovviamente arbitrarie su coincidenze tanto stiracchiate quanto personali. Queste sensazioni, unite allo stupore per la qualità altissima del dipinto, mi avevano subito portato a desiderarne il possesso, ma non fu così facile; il quadro era già riservato a un museo (che poi non lo ha comprato) e come se ciò non bastasse in odore di «notifica». Questo per un collezionista è sempre una manna, perché riduce di parecchio il valore di mercato (se sei un mercante ti viene invece un accesso d’ira). C’è solo la palla di dover segnalare ogni spostamento sul territorio nazionale.
Tornando al Fracanzano, dopo questa digressione che spero i lettori perdoneranno (ma se si può, è meglio essere pignoli purché sinceri), egli, dopo l’avvio alla pittura con il padre, si trasferì nel 1639 a Napoli presso Jusepe de Ribera, dopo essersi sposato con Beatrice (Covelli), che sarebbe diventata la modella di molte delle sue tele.
Intanto suo fratello Francesco, anche lui ottimo pittore, sposava la sorella di Salvator Rosa (un bell’ambientino!), il quale sembrerebbe aver recepito alcune suggestioni dei Fracanzano.
Questo quadro, ora nella mia collezione, rappresenta una famiglia di satiri, dove la satiressa avrebbe le fattezze della bella moglie di Cesare.
Il soggetto, che vede i satiri quali semi-divinità selvatiche intente, come il Sileno ebbro di Ribera, alla continua ricerca del piacere sotto l’influsso trascinante di Dioniso, venne introdotto in pittura nel secondo quarto del Seicento dal genio napoletano Giambattista Marino, «il gran maestro della parola e della metafora continuata», la cui vita incredibilmente movimentata tra Roma, Torino, Venezia e Parigi è un’opera d’arte in sé (basti pensare alle tre incarcerazioni subite), e perciò voglio spenderci due parole: .
Protetto e tormentato dal cardinale Pietro Aldobrandini (altro fenomenale funambolo del potere), non molto meno di quello che avrebbe subìto Guido Reni, e poi Bernini con Maffeo Barberini: croce e delizia degli artisti. Marino sopravvisse anche a una pistolettata con una rosa di pallini di piombo, proprio a Torino, nella via che ora si chiama via Garibaldi. Sarà una nuova divagazione inutile, che c’entra poco con il dipinto in esame, ma quella via, guarda caso, è a un tiro di sputo dalla mia vecchia casa torinese; è questo un altro filo che mi lega a questo quadro.
La bellissima invenzione di Cesare Fracanzano è stata letta anche come una raffigurazione dei cinque sensi, ravvisabile nei vari gesti che eseguono i quattro satiri, il padre che fuma (gusto e olfatto), la madre con una corona di fiori che gli si avvicina per farsi sentire meglio (udito), il piccolo satiro che accarezza il cane (tatto) e la satirella che allo specchio si guarda (vista). Questo tipo di rappresentazione dei sensi fu dipinto spesso da Ribera, che è stato (come già detto) maestro del Fracanzano, e attore dominante della scena napoletana nel Seicento.
Insomma, da Pietro Mennea da Barletta ai principi Carignani, a via Garibaldi a Torino, corre un tenue filo che naturalmente esiste solo nella mia immaginazione di collezionista.
Molti fili misteriosi, spesso invisibili perché sotterranei, collegano, in qualche modo orientandole, le scelte di un raccoglitore. Resta il fatto che la bellezza dell’opera crea l’incanto che alla fine decide tutto.
È la forza dell’arte, baby.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento