Ynet, il portale del giornale Yediot Ahronot, qualche giorno fa riferiva che l’esercito, progetta di allestire basi militari lungo sulle linee di demarcazione con Gaza. Si aggiungeranno alla «zona cuscinetto» all’interno della Striscia che il genio sta costituendo facendo saltare in aria ogni giorno decine di case palestinesi. Secondo uno studio sono già state ridotte in macerie 1.072 abitazioni sulle 2.824 situate a un chilometro o meno dal confine. Tutto ciò non è sufficiente per Nili, colona israeliana cresciuta a Kfar Darom, uno dei 21 insediamenti ebraici evacuati e demoliti nell’estate del 2005 nel quadro del Piano di Ridispiegamento attuato dal premier scomparso Ariel Sharon. «Per me tornare lì significa realizzare il volere di Dio, anche Gush Qatif è terra di Israele», ci diceva domenica scorsa la donna usando il nome del principale blocco di colonie distrutto, Gush Qatif, al posto di Gaza. «Finalmente Israele ha capito l’errore che ha fatto eliminando le nostre comunità – ha aggiunto -, solo ricostruendo ed espandendo (le colonie) la sicurezza (di Israele) sarà garantita. Siamo qui per dirlo a gran voce e sono certa che riusciremo nel nostro progetto».

Nili due giorni era una delle migliaia di attivisti e simpatizzanti della destra religiosa nelle sue varie gradazioni e del movimento dei coloni che hanno affollato il Centro Congressi di Gerusalemme per la conferenza. «La vittoria di Israele. Gli insediamenti portano sicurezza: il ritorno nella Striscia di Gaza e nella Samaria settentrionale». La Samaria è il nord della Cisgiordania palestinese occupata in cui, sempre nel 2005, Sharon fece evacuare e demolire «simbolicamente» quattro piccoli insediamenti coloniali assieme a quelli di Gaza. Con l’attuazione di quel ridispiegamento, l’uomo che è stato per decenni il politico di riferimento della destra radicale israeliana, chiarì al mondo che Israele non avrebbe lasciato altre parti dei Territori palestinesi occupati nel 1967. E così è andata. Ma la destra religiosa che non appoggiò mai quel piano e che ora è al potere in Israele, vuole ridare vita alle quattro colonie in Cisgiordania. Più di tutto vede nell’invasione della Striscia di Gaza una opportunità irripetibile per ricostruire Gush Qatif e gli altri insediamenti coloniali distrutti. Vuole anche sei nuove colonie al posto dei centri abitati palestinesi che, specie nella parte più settentrionale di Gaza, sono stati in gran parte rasi al suolo da giorni e giorni di bombardamenti aerei e dai colpi dell’artiglieria israeliana. Il deputato Zvi Succot ha proposto di rinominare Piazza Palestina, nel centro di Gaza city, «Piazza dell’eroismo israeliano».

Una enorme mappa di Gaza con i nomi delle colonie da ricostruire,  dominava domenica l’ampio salone di attesa dietro alle tribune occupato da intere famiglie con bambini piccoli, adolescenti scatenati in balli e canti nazionalistici, rappresentanti del movimento dei coloni impegnati a dare interviste e bancarelle con magliette, cappelli, gadget, poster, adesivi e altro ancora per esaltare le colonie costruite da Israele nei Territori palestinesi occupati in violazione delle risoluzioni internazionali. Un uomo con orgoglio mostrava ai fotografi la figlia seduta sul suo mitra. «Nessuno potrà fermarci» ha previsto Mordechai, con una maglietta di colore arancione con la scritta «Le colonie sono la sicurezza». «Tocca ai politici mostrare coraggio, non devono cedere alle pressioni esterne. Gli Stati uniti sono nostri alleati, li ringraziamo ma questa è la Terra di Israele e decidiamo solo noi», ha proseguito Mordechai che si è detto contrario «alla convivenza con gli arabi (i palestinesi, ndr) a Gaza». In sostanza due milioni e 300mila palestinesi dovrebbero «emigrare» per lasciare Gaza ad alcune migliaia di coloni israeliani. Lo ha affermato con forza Daniela Weiss, presidente dell’associazione Nachala e tra i leader riconosciuti del movimento dei coloni. «Milioni di profughi di guerra vanno da un paese all’altro in tutto il mondo…solo i mostri cresciuti a Gaza (i palestinesi) restano collegati ad essa…Ora solo il popolo di Israele si stabilirà sull’intera Striscia di Gaza e la governerà», ha promesso Weiss.

Sarebbe un errore vedere in questa conferenza solo del «folklore politico» e l’iniziativa di alcuni fanatici. Gli organizzatori sanno che in futuro peseranno sull’opinione pubblica israeliana le immagini che ora girano su tiktok dei soldati che, mentre combattono a Gaza, si appellano alla ricostruzione delle colonie ed essi stessi «inaugurano» sinagoghe nel territorio palestinese. Domenica si è vista una parte del programma elettorale della destra quando Israele andrà al voto, nonostante l’opposizione alla ricostruzione delle colonie dichiarata di facciata da Benyamin Netanyahu.  Al Centro Congressi c’erano infatti 12 ministri e 15 parlamentari della coalizione di maggioranza che si sono impegnati a ricostruire gli insediamenti ebraici israeliani nel cuore di Gaza e ad incoraggiare la «partenza» della popolazione palestinese dopo la fine della guerra. Deboli le obiezioni alla conferenza, inopportuna per il capo dell’opposizione Yair Lapid e per l’ex capo di stato maggiore Gabi Eisenkot, membro del gabinetto di guerra. «Manderemo via gli arabi e popoleremo Gaza» ci diceva sorridendo un ragazzo sui 16 anni, consegnandoci un volantino con un QR code: inquadrandolo con il cellulare si aderisce al progetto per fare di Gaza city il nuovo Gush Qatif.