In Italia lavoratori dipendenti ed ex lavoratori dipendenti pagano l’85% dell’Irpef complessiva. Eppure non dispongono normalmente di grandi patrimoni, hanno redditi sempre più insufficienti e pensioni appena sufficienti a vivere una vecchiaia dignitosa, quando non indispensabili a supportare le necessità quotidiane di figli e nipoti.

È quindi evidente che qualsiasi riforma fiscale dovrebbe avere come primo obiettivo il riequilibrio del carico fiscale, per ridurre le imposte sul lavoro dipendente a medio e basso reddito, aumentandole invece a chi dispone di significative rendite finanziarie e grandi ricchezze.

Dovrebbe inoltre considerare prioritario intervenire sull’evasione fiscale, tuttora stimata in almeno 100 miliardi di euro annui e del tutto incompatibile con il principio di equità, oltre che di piena sostenibilità del sistema di welfare.

La destra italiana con la delega fiscale sceglie invece di andare in direzione opposta a quella necessaria.

Parte dal presupposto ideologico e del tutto fallace che una generica riduzione delle tasse sia utile alla crescita economica, quando invece questa oggi più che mai dipende dalla capacità dello Stato di attivare gli investimenti pubblici indispensabili.
Insegue il fantasma della flat tax generalizzata, di chiara impronta incostituzionale, trascurando completamente l’aumento esponenziale delle diseguaglianze, che imporrebbero al contrario un ritorno ad una più forte progressività delle aliquote.

È chiaro infatti che la scelta di introdurre un regime privilegiato per il lavoro autonomo fino a 85mila euro di reddito ha determinato un’insostenibile forma di distorsione che non è sostenibile sul lungo periodo.

Questa tuttavia va sanata riportando nel perimetro del regime ordinario e progressivo chi ne sia uscito, al netto dei redditi più bassi, e non certo alimentando ulteriormente l’erosione delle entrate fiscali e l’ingiustizia di imporre la stessa aliquota a un banchiere milionario e un operaio metalmeccanico.

Un errore ulteriore è premiare tutte le forme di rendita, da quella immobiliare a quella finanziaria, alimentando ulteriormente il regime della cedolare secca e delle compensazioni, quando si dovrebbe piuttosto prevedere che anche queste fonti tornino a pagare come i redditi da lavoro.

Grida vendetta la previsione esplicita che i redditi finanziari continuino a essere esclusi dal calcolo dell’Isee, cosicché chi viva di rendita possa essere privilegiato rispetto ad una famiglia di lavoratori.

È inoltre pericolosa la previsione di consentire la compartecipazione delle Regioni al gettito Irpef e Iva, soprattutto in combinato disposto con l’iniziativa del Governo in merito di autonomia differenziata. Si pongono infatti le basi per lo smantellamento dell’unità nazionale, a tutto vantaggio delle aree del paese più forti in termini di reddito e consumi.

Lo stesso può dirsi per la minacciata abolizione dell’Irap, che la delega riconosce indispensabile per la tenuta del sistema sanitario nazionale, senza tuttavia chiarire dove andare a reperire le risorse che verrebbero a mancare.
Ma lo scandalo più grande è quello legato all’evasione fiscale, che nelle previsioni del Governo è di fatto legalizzata in via definitiva.

Concordato preventivo biennale significa infatti partire da un quadro gravato da 100 miliardi di evasione fiscale e perpetrarlo nel futuro, eliminando ogni possibilità di controllo.

La sintesi finale è molto semplice: per il Governo Meloni le tasse sono un fatto che riguarda solo i lavoratori dipendenti, unici a dover pagare per mantenere un welfare minacciato dalle minori entrate e dall’aumento di spese come quelle militari.
È un vero e proprio manifesto politico, a cui reagire con nettezza in nome della progressività fiscale su redditi e patrimoni, nonché del rilancio dei servizi pubblici.