Visioni

La danza del desiderio tra utopie e rinascite

La danza del desiderio tra utopie e rinasciteUna scena dello spettacolo Estasi – foto di Lorenzo Castore

In scena Al festival Exister «Estasi» di Enzo Cosimi, è la seconda tappa di una trilogia che si chiuderà nel 2017 con un lavoro sul dolore

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 23 dicembre 2016

Ci aspettano già in scena, quasi immobili, nudi, le parti intime dipinte con colori sgargianti. Ci guardano, calmi, mentre noi pubblico prendiamo posto. Siamo al Teatro dell’Arte per il festival Exister. Sei danzatori, tre maschi, tre femmine. Per terra mucchi di abiti smessi. Sulla destra, in scena, troneggia una boccia argentea pendente, da lussureggiante festa disco. È questo il quadro pop che apre Estasi di Enzo Cosimi, seconda tappa (ha debuttato in estate a Roma, al Teatro India) della trilogia Sulle passioni dell’anima, iniziata con Fear party e in chiusura nel 2017 con un lavoro sul dolore.

Enzo Cosimi viaggia nell’arte e nella danza contemporanea da più di trentacinque anni, spronando con eroica fantasia la sua vorace ricerca estetica. Danzatore dal piglio pulsante, da decenni è un coreografo saldamente menefreghista delle mode, perché artista mai di facciata, uomo felicemente libero di lasciare scorrere l’intuizione (e così ha precorso i tempi più di una volta), autore acuto nel carpire il quid generazionale di danzatori e non danzatori con i quali lavora. E quindi ora eccolo lasciar respirare nei suoi interpreti ciò che muove una parola come l’estasi. Uno spettacolo sul desiderio, le sue tensioni, utopie, sconfitte, rinascite.

Il bianco della scena è latteo, leggermente ovattato. Sullo sfondo, a tratti, appaiono gigantografie degli interpreti, attimi catturati (foto di Lorenzo Castore) che fermano un moto verso l’estasi o la sensazione di una meta non raggiunta. Immagini in blu, in rosso, in bianco e nero, corpi nudi, potenti nel racconto. I sei collaborano alla coreografia e lo si sente. TRA LORO c’è Paola Lattanzi, danzatrice feticcio di Cosimi da tantissimi anni, artista iconica per il fremito pungente, mai compiaciuto di sé, che la anima. Chi se la dimentica nel furibondo Bastard Sunday o nell’assolo manifesto del 2014 Sopra di me il diluvio, sempre di Cosimi.

In Estasi c’è anche Elisabetta Di Terlizzi (la ricordiamo già in Hallo Kitty!), avvolgente nel suo darsi totalmente agli altri con la voce, con il corpo, e Alice Raffaelli, la più giovane, che da quando Cosimi l’ha voluta nel riallestimento di Calore alcuni anni fa, incarna quella disponibilità senza freni al cambiamento che sentiamo vibrare nell’adolescenza. Con le tre, danzano, rapinosi, eccessivi, Daniele Albanese, Pablo Tapia Leyton e Giulio Santolini. I vestiti stracci servono per riabbigliarsi a pezzi, per mutare le forme del corpo ficcandosi nelle calze o sotto il reggiseno stoffe che esaltano le linee deformandole.

Cosimi attraversa l’estasi con il ritmo orgasmatico, quasi umoristico, dei movimenti di gruppo, con le pose plastiche delle coppie, con un viaggio di moti che però sa sospendersi in un chiarore poetico. La musica (curata come regia, coreografia, scene e costumi da Cosimi), a tratti bassissima eppure incisiva, entra nella pelle dei danzatori che cantano sottovoce stralci da Feelin’ Good, famoso pezzo del 1965 di Anthony Newley e Leslie Bricusse, lasciando nell’aria quel it’s a new day… o che camminano su je t’aime moi non plus di Birkin Gainsbourg.

L’estasi è trasformismo, attesa, unione, danza che esplode in un’energia non estetizzante, ma impulsiva, ma anche pause dagli espliciti rimandi al sesso con i sei che uno dopo l’altro vanno al microfono per dirci sulla scorta di Pasolini «non lasciarti tentare dai campioni di infelicità. Ti insegnano a non splendere. E invece tu splendi».

Ma come raggiungere lo splendore? Possibile o pura utopia? Seduti riversi in una luce aranciata, i sei alla fine dello spettacolo ci guardano mentre risuonano le note del Lascia ch’io pianga di Haendel. Potrebbe terminare così questa riflessione sull’estasi, ma sarebbe in parte consolatoria per la catarsi che la musica ispira. E invece è di nuovo silenzio. Gli abiti che sono stati gettati in aria durante lo spettacolo riformano un mucchio al centro. Su di essi sale in piedi Alice, tragica Venere degli stracci in omaggio a Pistoletto: è tenuta in equilibrio dagli altri che ancora una volta la deformano con la violenza degli abiti smessi, infilati sotto calze e maglietta. Apre le braccia in una immagine quasi cristologica. E l’estasi si abbraccia alla morte lasciando negli occhi una laica, eppur mistica visione.

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