«Appare opportuno avviare una riflessione, alla luce dell’esperienza maturata, sul superamento dello strumento del Dpcm». I toni sono sorvegliati, ma il «parere» che la camera dei deputati consegna al governo – approvato ieri all’unanimità sia in commissione affari costituzionali che nel comitato per la legislazione – è di quelli pesanti, considerato il ruolo che i Dpcm hanno avuto nella gestione dell’emergenza (sono stati ben 27 a partire dal 25 febbraio 2020). E le polemiche che hanno generato.

Dice adesso la camera dei deputati, approvando i pareri quasi identici stesi dal presidente del comitato per la legislazione Stefano Ceccanti (Pd), che la nuova architettura delle fonti inaugurata dal terzultimo Dpcm del governo Conte due (quello del 3 novembre 2020) ha cambiato il quadro che era stato faticosamente messo in piedi nei primi mesi della pandemia e validato poi dal parlamento. Quello secondo il quale ai decreti legge che sono una fonte di rango primario spetta il compito di indicare un «catalogo» di misure adottabili per combattere la diffusione del virus, mentre ai Decreti del presidente del Consiglio dei ministri (atti che non sono soggetti al controllo delle camere né alla firma del presidente della Repubblica) sono affidate le misure di dettaglio. Invece dall’introduzione de «colori» i Dpcm del 3 novembre e i successivi sono stati utilizzati come fossero una «legge quadro», per definire l’insieme delle misure generali applicabili nelle diverse zone (rossa, arancione, gialla) mentre l’individuazione concreta dei territori sulla base dei famosi «parametri oggettivi» è stata demandata a uno strumento di rango ancora inferiore nella gerarchia delle fonti, l’ordinanza del ministero della salute. Da qui i suggerimenti della commissione e del comitato al governo, perché riporti la definizione del quadro generale al «rango primario» dei decreti legge, e salti lo strumento intermedio ormai «superato» dei Dpcm, avendo da qualche mese sperimentato l’uso delle ordinanze.

Quelli del parlamento sono suggerimenti interessati, ora che anche Draghi ha inaugurato l’uso dei Dpcm (il suo primo è del 2 marzo), perché i decreti legge devono passare per le camere che dunque possono esercitare quel potere di controllo che sui Dpcm – malgrado qualche tentativo sia stato fatto – non ha presa.
Ma i decreti legge aprono altri problemi, come gli stessi pareri approvati ieri fanno notare. Il principale in questi mesi è stata l’esplosione del fenomeno dei decreti che «mangiano» – modificando o abrogando – altri decreti. Generando incertezza sulle norme effettivamente vigenti. Paradossale l’ultimo caso, con il primo decreto legge del governo Draghi (15/2020) che ha abrogato una parte di un decreto legge precedente (2/2020) ma è stato inserito, per accelerarne la conversione, nel testo di legge abrogato.