La Calabria devastata, oltre la ’ndrangheta
A leggere «Al di là della mala» di Claudio Dionesalvi e Silvio Messinetti viene da dire: volesse il cielo che i mali della Calabria si potessero riassumere in un nome […]
A leggere «Al di là della mala» di Claudio Dionesalvi e Silvio Messinetti viene da dire: volesse il cielo che i mali della Calabria si potessero riassumere in un nome […]
A leggere «Al di là della mala» di Claudio Dionesalvi e Silvio Messinetti viene da dire: volesse il cielo che i mali della Calabria si potessero riassumere in un nome solo, ’ndrangheta. È in questa regione stretta e lunga, circondata dal mare per 700 chilometri, magra come un giunco ma fortificata da una spina dorsale montuosa che la rende aspra e a tratti inaccessibile, che la cattiva politica si annida e prolifera come un batterio resistente a qualsiasi antibiotico. Qui si sperimentano politiche di saccheggio dei beni comuni ed espropriazione del pubblico, il neoliberismo trova una sua versione originale innestandosi nel corpo di una società con un piede ancora fuori dalla modernità e l’altro perfettamente inserito all’interno.
«La Calabria brucia», come titolava un fortunato libro di Mauro Francesco Minervino (Ediesse editore) qualche anno fa. Ardono le sue foreste d’estate, franano le montagne erose dalla deforestazione e da una desertificazione precoce. Oggi l’acqua, l’aria e la terra non appartengono più ai calabresi ma alle multinazionali che fanno il bello e il cattivo tempo, come in un qualsiasi paese del terzo mondo, in una singolare forma di «orientalismo» interno, per citare una fortunata definizione di Edward Said.
Dionesalvi e Messinetti, firme note ai lettori del manifesto e negli ambienti dell’attivismo sociale, raccontano la devastazione ambientale calabrese con dovizia di particolari. L’inquinamento del fiume Oliva e le navi dei veleni, lo scandalo dei laghi silani, lo sfruttamento del carbone a Rossano Calabro, le morti operaie alla Marlane di Praia a Mare sono sviscerate con spirito di denuncia e allo stesso tempo con l’idea di stimolare la crescita degli anticorpi sociali, quelle sacche di resistenza alimentate a volte da singoli Robin Hood, in altri casi da comitati organizzati, i soli a combattere il saccheggio del territorio. Ne viene fuori il ritratto di una regione piagata, in cui la malavita organizzata è solo uno dei problemi. Anzi, sostengono gli autori, la ’ndrangheta – il «potere del non governo», per dirla con il linguista John Trumper – assume spesso il ruolo di «spaventapasseri»: attira l’attenzione per distrarre da giochi di potere ben più grandi, nei quali entrano in campo borghesie locali corrotte e parassitarie, massonerie e manovratori politici.
Se l’originalità del libro consiste nel mostrare la Calabria come una periferia dell’impero, cortile di casa del neoliberismo nostrano come l’America latina lo è stata per gli statunitensi, il suo merito è un altro: quello di non fermarsi alla descrizione del saccheggio ma di pensarsi come strumento per un cambiamento sociale. Senzalasciarsi ammaliare da chi vuole che tutto cambi perché nulla si muova davvero. Anche a sinistra.
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