Loukia Kotronaki è docente a contratto e ricercatrice in sociologia politica presso l’università Panteion di Atene. È responsabile scientifica del progetto di ricerca «Youth-Voice on» che su eteron.org sta pubblicando una serie di studi volti a delineare una sorta di fisionomia politica e sociale dei giovani greci (17-34 anni).

Loukia Kotronaki

Alle ultime elezioni c’era grande aspettativa a sinistra sul voto giovanile. Com’è andata?

L’aspettativa seguiva i dati raccolti dal 2012 al 2019. Dopo il terremoto che ha distrutto il bipolarismo, col crollo dei partiti di Nea Dimokratia (Nd) e Pasok che avevano dominato la scena dal ripristino della democrazia, si è assistito a un’esplosione della partecipazione politica dei giovani. Sono stati determinanti soprattutto per Syriza, che era la principale rappresentante di una prospettiva di sinistra. Ma a queste elezioni le cose sono andate diversamente. A livello generale Nd ha ottenuto il 40,7% e Syriza il 20%. Nella generazione 17-24 anni rispettivamente 33% e 24%, in quella 25-34 anni 31% e 23%. Syriza ha perso il 10% del voto giovanile. Questi calcoli sono basati sull’exit poll di Metron Analysis, uno dei più affidabili.

Quindi Syriza non è più il primo partito tra i giovani. Perché?

Nell’elettorato più giovane si registra comunque una tendenza a votare a sinistra: se sommiamo Syriza, Kke e Mera25 si arriva al 36,5%. Mentre qui Nd è al 33%. Rispetto al calo di Syriza, invece, le ragioni sono tante. La prima è il generale spostamento a destra dell’asse politico. Al 40,7% complessivo di Nd vanno sommati i voti dei partiti dell’estrema destra. La seconda ragione è che dopo il referendum del 2015 è finita l’idea che la politica di Syriza potesse rappresentare un’alternativa radicale. Il partito si è concentrato su governo e gestione delle istituzioni all’interno del paradigma neoliberale. Parallelamente c’è stata una complessiva delegittimazione dell’immaginario di sinistra. Non era così evidente nel 2016 o 2017 perché c’era un forte movimento di solidarietà con i rifugiati e le sensibilità di sinistra continuavano a giocare un ruolo. Poi anche questo è terminato. Nel frattempo le condizioni di vita materiali della popolazione hanno continuato a degradarsi. Con il Covid e i fondi europei Mitsotakis ha potuto dare risposte distribuendo sussidi, senza intervenire sulle cause strutturali delle disuguaglianze. Questa politica, comunque, è stata ricevuta positivamente. Ormai si è affermata una sorta di «cultura delle basse aspettative». Soprattutto nelle nuove generazioni, come emerge dalle ricerche.

Avete rilevato questo paradosso: i giovani hanno grande sfiducia per partiti e governo ma mantengono un alto tasso di partecipazione elettorale. Come lo spiega?

Per loro votare è un modo per sentirsi attivi, ma lo fanno senza convinzione. I giovani vanno alle urne come fanno altre cose, per esempio partecipare a discussioni sui social network. Non credono serva a migliorare la propria condizione. Lo fanno e basta, senza considerare questo atto come la forma principale di partecipazione politica.

Avevate previsto che nonostante le enormi mobilitazioni per il disastro ferroviario di Tempi quel movimento non avrebbe influenzato il voto. Perché?

Non esiste una relazione lineare tra politica delle piazze e politica elettorale. Tante mobilitazioni del passato non hanno avuto alcun effetto nelle urne. Quello che è successo in Grecia dal 2012 al 2019, con l’allineamento tra proteste e voto, è stata un’eccezione. In quel momento Syriza era credibile per rappresentare le piazze, ora non più. Inoltre il discredito verso quel partito ha un impatto molto profondo sul modo in cui le persone pensano la combinazione tra manifestazioni e urne. Si è tornati a una situazione più tradizionale: grandi cortei e malcontento diffuso, ma senza sviluppi stabili. La sinistra, però, non può accettare che le proteste non si traducano in trasformazioni politiche.