Non c’è verso, l’orecchio straniero si rifiuta di abituarsi al fatto che il cameriere del bar sotto casa si chiama Orfèas, la sbrigativa edicolante in piazza Andigòni, e la cassiera del macellaio Kalliòpi. In questa specie di trappola dell’evocazione, dei nomi propri quanto dei toponimi (Sparta – oggi autentico «buco nero di mosche», come direbbe il Marco Polo delle Città invisibili –, Argolide, Arcadia, Laconia, ecc.), inevitabilmente cade da secoli il visitatore europeo, che finisce più o meno involontariamente per operare sistematiche sovrapposizioni immaginali a tutto ciò che vede e sente in terra ellenica. A un narratore come Kosmàs Politis...