Un bilancio nuovo di zecca, con perdite da quasi 240 milioni di euro. Un bilancio, che però tiene conto solo in parte dei rilievi osservati dalla Consob rispetto alla versione di settembre, il cui il “rosso” era superiore ai 250 milioni. Lo stesso bilancio da cui sono spariti circa otto milioni di euro, destinati agli agenti dei calciatori per appianare le pendenze con gli ex calciatori della Juventus.

È la mossa con cui la Juve prova a fare scudo, ritenendosi dalla parte giusta nell’inchiesta Prisma, messa in piedi dalla Procura di Torino, che ha prodotto il rinvio a giudizio di 13 persone, tra cui il presidente del club bianconero Andrea Agnelli e di altre figure dirigenziali apicali.

Lo stesso Agnelli, prima del big bang giudiziario che ha prodotto l’accusa di falso in bilancio (e altri capi di accusa) per le plusvalenze fittizie e per la manovra sugli stipendi dei calciatori, si era dimesso dalla carica, come il resto del consiglio di amministrazione.

“Un contesto criminale di allarmante gravità, essendo di fronte a condotte illecite, reiterate e protratte nel tempo, per tre esercizi, di indubbio spessore ponderale”, così la procura torinese descrive l’operato finanziario della Juventus. Pesano le oltre 13 mila intercettazioni telefoniche e ambientali. Soprattutto, pesano i documenti finiti nella disponibilità dei magistrati con perquizioni esterne alle sedi della Juve: le famose “carte private”, per esempio sui 19 milioni di euro che la società bianconera dovrebbe corrispondere ancora a Cristiano Ronaldo, oppure sul “libro nero” in cui Fabio Paratici, ex dirigente bianconero, teneva il conto delle plusvalenze per “aggiustare i bilanci.

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Lo stesso Paratici che gestiva, secondo le carte in mano ai magistrati, il mercato delle società nell’inner circle juventino. Dal Sassuolo al Bologna, Udinese. Anche il Pisa, che lui vuole assolutamente gestire: “L’ho sempre fatto, l’ho fatto con Caldara…l’operazione devi farmela fare a me! Dammi retta, l’operazione la faccio io anche per il Pisa! Tu dammi le linee, il resto lo metto a posto io: l’ho fatto per il Genoa e per l’Atalanta tutta la vita, l’ho fatto per il Sassuolo… quando ho i parametri sistemo tutto. Quando facevo l’operazione per l’Atalanta o per il Genoa, non pensavo alla Juve, pensavo: il Genoa deve star bene. Gli do un fisso, gli do un bonus che rimane al Genoa, gli do un bonus quando arriva alla Juve. Se va tutto bene, troppi soldi per tutti!”.

Insomma, il quadro è davvero complesso per la società bianconera. Ci sono stralci dell’ordinanza da 544 pagine da cui emergono, da varie voci, che all’interno del club ci fosse una conoscenza generale dei bilanci artefatti attraverso l’utilizzo delle plusvalenze fittizie e delle famose manovre sui salari dei calciatori.

In attesa delle udienze preliminare che, considerando il quadro probatorio, dovrebbe portare gli indagati a processo, dalle carte emerge che sulla manovra degli stipendi differiti – quattro, secondo la versione della Juve per il pubblico, in realtà uno solo in base a una scrittura privata con gli atleti, con conseguente alterazione del bilancio -, le “talpe” che avrebbero fornito le chat incriminate in cui si parla degli stipendi sarebbero l’olandese De Ligt (ora al Bayern Monaco) e il difensore De Sciglio. Non tutti gli atleti erano concordi su questo tipo di accordo: per esempio, l’argentino Paulo Dybala avrebbe detto ai magistrati che il pagamento degli stipendi era solo differito.

E non coincide con il contenuto della chat la versione data agli inquirenti di Giorgio Chiellini, allora capitano della Juve, a proposito della richiesta della dirigenza bianconera di non far parlare i tesserati con i giornalisti, per tenere al riparo l’espediente sugli stipendi posticipati.

Intanto c’è da chiedersi quando il ministro dello Sport, Andrea Abodi, piuttosto che commentare in politichese (“c’è la volontà di non mettere la polvere sotto al tappeto”, ha detto il ministro) l’indagine a carico della Juventus, chiederà conto di alcuni comportamenti ai vertici delle istituzioni del calcio. Per esempio, al presidente della Figc, Gabriele Gravina, che subito dopo l’esplosione del caso Juve si è affrettato a mettere acqua sul fuoco e che poi – rivelano le dalle carte dell’inchiesta – è stato presente a settembre a un incontro organizzato da Andrea Agnelli con rappresentanti di alcune società assai vicine alla Juventus (Atalanta, Genoa, Udinese, Bologna) nelle dinamiche di mercato, oltre a Milan e Inter e al presidente della Lega calcio, Paolo Dal Pino.

E già che ci siamo, potrebbe chiedere anche al numero uno del Coni, Giovanni Malagò, a quali presidenti “delinquenti veri” di Serie A si riferisse, frase emersa da un’intercettazione della Guardia di Finanza sulla presunta tangente pagata per l’assegnazione dei diritti tv. Sulla Juventus, in ogni caso, non c’è solo l’occhio della procura di Torino. In sede sportiva, dove i bianconeri si sentono meno esposti, c’è l’Uefa – il presidente Aleksandr Ceferin è nemico giurato di Agnelli dal varo della Superlega nata e svanita in due giorni – che ha aperto un’inchiesta per valutare se siano state violate le regole del Fair Play Finanziario. E anche la Figc valuterà se aprire un nuovo fascicolo sulle plusvalenze fittizie: il caso era stato chiuso in primavera con l’archiviazione della posizione bianconera per l’impossibilità di stabilire criteri sulla valutazione dei calciatori oggetto delle transazioni tra club.