John Coltrane e Eric Dolphy, sfida fino all’ultimo respiro
Note sparse Da nastri inediti ritrovati alla New York Library, esce in cd e vinile una performance live del 1961
Note sparse Da nastri inediti ritrovati alla New York Library, esce in cd e vinile una performance live del 1961
Mi compro il cd che tutti dicono indispensabile e già brontolo tra me e me: «Sarà il solito inedito spacciato dalla Impulse, tipo quell’A Love Supreme ultra-ultra-free degli ultimi giorni di Coltrane (1965, non proprio ultimissimi), inascoltabile, mica per la musica che si indovina superbissima ma per il sonoro semplicemente schifoso». Invece no. Questo Evening at the Village Gate di John Coltrane e, ospite di lusso, Eric Dolphy (naturalmente etichetta Impulse) funziona. S’intende dal punto di vista del percepire più che decentemente la musica che vi si suona. Dal punto di vista della qualità di quella musica… beh, lasciamo perdere… la classifica non si può fare, come dicono nelle cronache sportive, qui giocano in un altro campionato. Musica straordinaria vissuta come in transizione, nel momento, con furore. Ricordate il titolo di Gaslini, Il fiume furore del ’68? Ma forse lui si riferiva ad altre cose, più direttamente politiche e sociali, o forse no, o forse anche Coltrane, Dolphy e i loro compagni qui pensano o sentono le stesse cose. E siamo nell’agosto 1961.
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Anche in When Lights Are Low parte direttamente Dolphy in assolo al clarinetto basso. In questa sessione e quindi in questo disco giochi d’assieme, temi all’unisono, cose così, non se ne fanno da parte dei due strumentisti principali. Dolphy bello da morire. Tanto in cerca di territorio libero quanto dispersivo. Fascino ingovernabile. Coltrane che segue è ridondante alla sua magnifica maniera. Qui si sente chiaramente la febbre del voler andare oltre, il desiderio di rottura, di disordine, di trovare le parole per dire ancora altro. Va in assolo anche Tyner ed è come una pausa di serenità.
PER LA PRIMA volta Coltrane e Dolphy suonano il tema di Impressions in avvio all’unisono. Pochi cenni poi è subito Coltrane in assolo al soprano. Ragionevolmente non si può distinguere un brano dall’altro per caratteri propri. È lo stesso grande fiume di suoni frementi, come diceva Gaslini?, sì, un grande fiume come i movimenti di quel ’68, lotte in fabbrica, nelle scuole, nei quartieri, lotte legali, lotte illegali, un grande fiume. Questa volta conta stare nello spazio libero, conta l’improvvisazione senza freni, che le armonie di base di un brano cambino con conta niente. Quando il tema torna è riconoscibile ma frastagliato, fatto di intrecci senza regole tra i due solisti.
La melodia di Greensleeves è occultata, nel brano c’è spazio per Tyner e per il drumming «crudele» di Jones. Africa è l’ultimo brano. Finalmente Coltrane al tenore. Nobilissimo in assolo, seppur traumatizzante, appena un po’ più votato alla costruzione. Ma si ascolta tutto il gruppo, anche Workman e Davis in assolo, molto un Tyner terrigno tutto in accordi. Volendo dare i voti, questo è il top.
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