«Gremlins arrivò del tutto inaspettato, era il film giusto nel momento giusto, per questo ha avuto tanto successo. Gli studios me ne chiesero subito il sequel ma io alla sola idea di dover ricominciare a combattere con quei pupazzi ho rifiutato. Ero inamovibile, allora non c’era la tecnologia degli effetti speciali di oggi. Gli ho detto che potevano cercarsi qualcun altro, ci hanno provato ma non si sono riusciti così sono tornati da me e mi hanno detto che se accettavo la loro proposta avrei avuto carta bianca per fare quello che volevo. Quale regista può rifiutare un’offerta simile? Naturalmente ho accettato». Joe Dante parla a raffica, a voce bassa e velocissimo, è gentile, pieno di humor, il suo sguardo sull’immaginario non ha perduto l’arguzia e l’intuito di un regista cinefilo, cresciuto con l’allenamento all’indipendenza alla factory di Roger Corman, che ha attraversato Hollywood fra successi e cadute. Dante è a Bologna, protagonista dell’ultimo fine settimana del festival Cinema ritrovato, con una serie di appuntamenti: la proiezione di Gremlins (1984), Gremlins 2: The New Batch (1990) e di The Movie Orgy (1966-2000), un progetto di found footage tra fantascienza, fantasy, monster movie di circa sette ore a cui Dante aveva iniziato a pensare – ispirandosi alla serie Batman (1943) quando era ancora al campus.

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«L’amore» di Joe Dante è a prova di zombie…«GREMLINS» dunque tra i quali il regista di Matinee predilige il numero 2 col cattivo Clumps che fa pensare un po’ al Donald Trump speculatore di allora e un po’ a Ted Turner. Spiega: «È quello più libero, dove ho potuto mettere tutto ciò che volevo, alla fine è quasi un Helzapoppin’ in cui ho mescolato molte cose, il musical, Busby Berkley, i riferimenti all’America del tempo che era cambiata in quegli anni. Il primo nasceva invece da una sceneggiatura che mi aveva proposto Spielberg, allora andavano molto i film con ragazzini che volevano essere scienziati, molti non avevano funzionato sul momento poi sono divenuti dei classici. Se rifacessi oggi Gremlins potrei utilizzare la Cgi e sarebbe sicuramente un film molto diverso. Lavoriamo nello spazio delimitato dagli effetti speciali di un determinato periodo, per cui man mano che questi si evolvono, i limiti si ampliano».
E oggi, come lo vede il cinema Joe Dante? «I film che si fanno adesso durano almeno tre ore, spesso non per una reale necessità narrativa ma per poter mettere un cast più numeroso di star e di personaggi che rispondono alle esigenze imposte. Forse è anche per questo che le persone hanno smesso di andare al cinema e preferiscono fare zapping tra Amazon prime e Netflix. Perciò un festival come questo è importante, riporta il pubblico alla dimensione dell’esperienza di vedere un film uscendo di casa in uno spazio condiviso insieme a altri. Il fatto è che il telecomando ci ha fregati: un tempo lontano, quando non esisteva, ci si doveva alzare per cambiare canale, era un po’ più scomodo. Poi è diventato molto facile, e la soglia dell’attenzione si è sempre più abbassata, i videoclip musicali lo hanno intercettato subito e hanno funzionato. Questa abitudine è diventata una forma estetica oltre che un modo di pensare, Hollywood anche per questo aveva istituito le preview dei film, prima dell’uscita, con un campione di pubblico. Per me erano un incubo, se gli spettatori non ridono nel punto giusto o sbuffano il film è già condannato prima di cominciare. Così alla fine i film sono tutti uguali, si fa quello che piace senza correre troppi rischi».