Jobs Act, nove milioni di voucher in un solo mese
I dati Inps In agosto i "buoni" della precarietà sono cresciuti a dismisura. In aumento anche i contratti a tempo indeterminato, ma la maggior parte sono trasformazioni e non nuove attivazioni. E la percentuale resta comunque bassa: al 15%
I dati Inps In agosto i "buoni" della precarietà sono cresciuti a dismisura. In aumento anche i contratti a tempo indeterminato, ma la maggior parte sono trasformazioni e non nuove attivazioni. E la percentuale resta comunque bassa: al 15%
L’aggiornamento dei dati sui contratti di lavoro fornito ieri dall’Inps, nel rapporto mensile dell’Osservatorio sul precariato, non desta nessuna sorpresa, né entusiasmi di sorta. Il contratto a tempo determinato rimane il contratto subordinato preferito, mentre per il lavoro non subordinato impazzano i voucher.
Quando si parla di Jobs Act, è necessario fare riferimento anche alle altre tipologie contrattuali liberalizzate e di cui abbiamo aggiornamenti grazi ai dati amministrativi dell’Inps: i voucher in particolare. Tra gennaio ed agosto 2015, ne sono stati venduti oltre settantuno milioni. Nel solo mese di agosto venduti 9 milioni 182.760 mila un dato incontrovertibile che spiega a chiare cifre che il precariato in Italia avanza, mentre il governo fa volontariamente finta di non veder, così come ignora le disuguaglianze economiche e sociali che il lavoro povero tende a inasprire.
Prima di analizzare i dati, va tenuto a mente che a partire dal mese di giugno, l’Inps ha proceduto a una modifica del campo di osservazione, pertanto «i dati non sono comparabili con quelli pubblicati nei report dei mesi precedenti», nonostante sia l’Inps stesso a pubblicare i confronti con gli anni precedenti, senza indicare se le serie storiche siano state o meno omogenizzate per intero usando la nuova metodologia. Il rischio, ormai evidente, è l’impossibilità di una valutazione nel tempo del mercato del lavoro, a meno di non voler asservire l’analisi alla propaganda.
A ogni modo, guardando ai dati relativi ai primi otto mesi del 2015 emerge che tra gennaio ed agosto del 2015, sono stati avviati 600.858 nuovi contratti al netto delle cessazioni intervenute nel periodo. «Con il linguaggio incontestabile dei numeri», volendo citare gli esponenti del Pd, il precariato in Italia gode di ottima salute. Infatti, i nuovi contratti a tempo indeterminato al netto delle cessazioni sono 91.633. Il Nord Est è l’unica macro area in cui il saldo risulta negativo.
Guardando alla composizione totale dei contratti, si nota che i nuovi contratti a tempo indeterminato sono solo il 15%, quelli a termine rappresentano il 77%, mentre la restante parte, il 7% si riferisce all’apprendistato. Dati che includono anche i contratti dovuti alla Garanzia Giovani che non mostra nessuna reale garanzia di continuità lavorativa.
Un ulteriore dettaglio, limitato alle nuove attivazioni su tutti i tipi di contratto, riguarda la tipologia oraria dei nuovi rapporti di lavoro, il 36% sono contratti di tipo part-time, quota che raggiunge il 40% per le nuove assunzioni a tempo indeterminato. Intanto, le cosiddette stabilizzazioni, cioè le trasformazioni di contratti a termine e di apprendistato in contratti a tempo indeterminato sono 331.792: meno di un quarto del totale dei contratti a tempo indeterminato sono rapporti di lavoro ex-novo.
È inoltre interessante notare che proprio il numero di trasformazioni subisce un aggiornamento metodologico per cui è impossibile confrontare le trasformazioni ad agosto con quelle di luglio: come espressamente indicato dall’Inps, «ciò ha comportato rispetto ai dati pubblicati con l’aggiornamento di luglio 2015, la variazione in diminuzione delle trasformazioni a tempo indeterminato».
L’evidenza che l’effetto Jobs Act unito agli sgravi diminuisca mese dopo mese è evidente guardando la quota delle attivazioni (comprese le trasformazioni) a tempo indeterminato sul totale delle attivazioni rispetto ai mesi precedenti: se fino a marzo queste costituivano circa il 43%, nei mesi successivi la quota è costantemente diminuita, fino al 33%. Un dato che la dice lunga anche sul ruolo preponderante degli sgravi fiscali rispetto al nuovo contratto a tutele crescenti.
Tuttavia, poiché non esiste nessuna informazione circa le imprese che in questi primi 8 mesi hanno attivato, cessato e trasformato contratti a tempo indeterminato, è impossibile approfondire l’analisi anche solo descrittiva e avere un quadro più robusto per capire quanto gli sgravi abbiano inciso sull’andamento dei contratti. Quel che conosciamo è il costo di questa riforma, che ha raggiunto quasi 2 miliardi di euro di sgravi, quasi ventimila euro per ciascun nuovo contratto a tempo indeterminato.
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