Lavoro

Jobs Act, demansionati e precari

Jobs Act, demansionati e precariIl premier Matteo Renzi

Varata la riforma Via alla seconda parte del provvedimento che stravolge il lavoro. Bocciatura dei sindacati, che si ritrovano "asfaltati" dal premier. La Cgil: «Mantiene le disuguaglianze e non disbosca la giungla dei contratti». Cisl: «Non cambia nulla». Uil: «Solo bugie». Ma Confindustria è felice

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 21 febbraio 2015

Via ai decreti attuativi del Jobs Act, e come si aspettavano i più critici, si rischia un aumento complessivo della precarietà: innanzitutto perché si liberalizzano, a fronte di un modesto risarcimento, i licenziamenti sia individuali che collettivi illegittimi. E poi perché si estende l’uso dei voucher (buoni lavoro, una sorta di “ticket restaurant” per prestazioni totalmente al di fuori del contratto), non viene cancellato il lavoro a chiamata, resta il tetto dei 36 mesi per i contratti a termine senza causale. Ancora: si dà l’ok al demansionamento, ovvero a una maggiore ricattabilità. Infine si cancellano il job sharing, gli associati in partecipazione e i cococò e cocoprò. Ma questi ultimi soltanto a condizione che non li si concordino nei contratti nazionali, senza chiarire se verranno eliminati anche nel pubblico.

Il presidente del consiglio Matteo Renzi ieri ha spiegato la riforma, varata dopo un consiglio dei ministri durato diverse ore, come «il giorno atteso da anni», la «rottamazione dei cococo e cocopro vari», che «tornano ai pollai», la misura che «scrosta le rendite di posizione dei soliti noti». Insomma, un atto di giustizia per una generazione – quella dei parasubordinati – che avrebbe aspettato per anni il messia pronto a riscattarla. Ma tanti sono delusi.

Ad esempio il sindacato, e perfino la Cisl, che finora si era sempre contenuta sulla riforma del lavoro. Ma è soprattutto la Cgil a prendere di petto il governo e a bocciare completamente i decreti: «Il Jobs Act è il mantenimento delle differenze e non la lotta alla precarietà – dice in una nota il sindacato – Il contratto a tutele crescenti è la modifica strutturale del tempo indeterminato che ora prevede, nel caso di licenziamento illegittimo o collettivo, che l’azienda possa licenziare liberamente pagando un misero indennizzo».

Sulla precarietà, prosegue la Cgil, «siamo alla conferma dell’esistente, se non al peggioramento, come nel caso del lavoro accessorio (i voucher, ndr) e all’assurdo sulle collaborazioni che si annunciano abolite dal 2016 ma comunque stipulabili in tanti casi, mentre nulla si dice delle cococo della pubblica amministrazione». «Dove sarebbe la svolta? Il governo parla di diritti ma mantiene la precarietà, dimentica le partite Iva e regala a tutti licenziamenti e demansionamenti facili. Per rendere i lavoratori più stabili non bisogna per forza renderli più licenziabili o ricattabili». Quindi il sindacato guidato da Susanna Camusso lancia una sfida per il futuro: «Quello che il governo sta togliendo e non estendendo ai lavoratori stabili e precari, andrà riconquistato con la contrattazione e con un nuovo Statuto dei lavoratori».

La Cisl protesta per il fatto che il governo ha lasciato nel testo approvato la norma sui licenziamenti collettivi (che sono così parificati sostanzialmente agli individuali): è «uno sbaglio». Più in generale, Annamaria Furlan ritiene che «ci doveva essere più coraggio sulla precarietà»: la Cisl avrebbe voluto una «effettiva abolizione delle forme di precarietà dei giovani». «L’esultanza del presidente del consiglio è assolutamente ingiustificata perché con queste norme cambierà poco e niente – dice Furlan – È importante che si sia lasciato il reintegro per i licenziamenti discriminatori e disciplinari, così come è importante aver cancellato dalle tipologie contrattuali gli associati in partecipazione. Ma per il resto non c’è la svolta che la Cisl auspicava sulla effettiva cancellazione delle altre forme di precarietà selvaggia, sottopagate e senza tutele proliferate in questi anni».

Per Carmelo Barbagallo (Uil), il governo «è bugiardo»: «Avevano promesso che avrebbero cancellato tutti i contratti di precarietà ma non è vero. La montagna ha partorito un topolino».

Plaude ed è “gasatissima” (mutuiamo un aggettivo ormai di moda) la Confindustria di Giorgio Squinzi, che come sappiamo con Renzi “realizza i suoi sogni” (altra frase celebre di qualche mese fa): «La direzione è quella giusta – commenta l’associazione – Bene che siano state confermate le norme sui licenziamenti collettivi. Positivi il riordino dei contratti e la nuova disciplina sul mutamento di mansioni».

Renzi però insiste: la precarietà verrà sconfitta, e «circa 200 mila italiani passeranno da una collaborazione coordinata a un lavoro a tempo indeterminato». Molti però temono che tante collaborazioni a progetto – per le quali si chiede comunque una conversione al lavoro subordinato a partire dal 2016 – verranno trasformate invece in contratti precari, a partire da un massiccio ricorso alle partite Iva. Partite Iva che, si ricorda, anche a questo giro non hanno avuto gli ammortizzatori.

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