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La carica delle ultrasettantenniJoan Baez, il 9 gennaio scorso, ha compiuto ottantadue anni. È coetanea del suo amico, rivale, compagno di palchi e molto tempo fa di affetti Bob Dylan, ma la sua voce, a differenza di quella arrochita e smangiucchiata dai decenni di «neverending tour» di Mr. Zimmermann, è rimasta quasi intatta. C’è una delicata e profonda bellezza che neppure l’incedere indifferente del tempo riesce a sciupare, in Joan Baez. Nel suo caso, un sorriso radioso che conserva lo stupore e la meraviglia verso il mondo dei suoi vent’anni, una postura eretta e sciolta, dita agili sulle chitarra – anche se ha deciso nel suo ottantesimo compleanno di dedicarsi solo alla pittura, in cui eccelle – e, soprattutto, una mente che continua ad avere scattante lucidità reattiva. Pagine che in controluce, fatto dopo fatto, ci raccontano un’intera epoca

Forse gli estremi di registro dell’ottava più alta non sono stati più una passeggiata, ma quando ancora ha imbracciato la sei corde e cantato in Rete Un mondo d’amore per l’Italia sotto scacco del Covid, il 31 marzo del 2020, chiudendo gli occhi si vedeva ancora la Joan Baez di mille, tumultuose battaglie civili e politiche condotte con una feroce dolcezza e determinazione.

MANCAVA, nel nostro Paese così spesso vicino a Joan Baez e alle sue lotte per chi è fragile e senza voce un libro nuovo, dopo diversi bei testi succedutisi tra il 2005 e il 2015, che le rendesse aggiornata giustizia, una specie di corrispettivo in carta di quando, a celebrazione del suo settantacinquesimo compleanno, salirono sul palco con lei Richard Thompson, Paul Simon, Judy Collins, le Indigo Girls, Jackson Browne, David Crosby, Emmylou Harris, e tanti altri, a duettare con la quieta regina dell’impegno. Il tutto finì su uno splendido disco. Il libro ora è arrivato dai tipi di Mimesis, comparso nella serie Il caffè dei filosofi, Joan Baez / La vita, le canzoni, le battaglie, e si legge come un unico, appassionante fiotto di informazioni vitali che in controluce, fatto dopo fatto, come accade con le belle narrazioni suffragate da incalzanti dati di realtà, ci racconta un’intera epoca scandita da una miriade di situazioni in cui Joan Baez era al centro della scena, da protagonista.
Nulla nascondendo, peraltro: anche la fragilità che la induce, per una decina d’anni, a ricorrere alle pastiglie di Quaalude per tenere a bada l’ansia, il tormento interiore, il panico da palcoscenico dissimulato nel sorriso radiante. Lo ha scritto, con parole precise e guizzanti Guido Santato, già professore all’Università di Padova, specialista di letteratura del Settecento e del Novecento, direttore della rivista internazionale Studi Pasoliniani.

APPASSIONATO di bel canto operistico, già autore di un notevole testo su Billie Holiday, Santato dal lontano 1966 in cui ascoltò Joan Baez sui dischi, e dal ’70 in cui la vide all’Arena Civica di Milano coltiva una passione per quel mondo di suono. Passione suffragata però qui da una corposa documentazione biblio-discografica e da un indice finale di nomi, opere e cose notevoli che è strumento prezioso sia per gli studiosi, sia per gli appassionati.