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Jean-Pascal van Ypersele: «Cambiare è possibile ma ci vuole una rivoluzione»

Jean-Pascal van Ypersele: «Cambiare è possibile ma ci vuole una rivoluzione»Manifestazione del Friday for Future a Torino; in basso Jean-Pascal van Ypersele – LaPresse

Intervista al climatologo e Nobel per la pace «Emissioni zero entro il 2030». È l’impegno indispensabile per evitare il punto di non ritorno

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 3 dicembre 2019

«Registriamo oggi un aumento della temperatura di 1 grado rispetto al periodo pre industriale e per ridurre i rischi del riscaldamento globale bisognerà raggiungere le zero emissioni nei prossimi 30 anni» è l’appello del climatologo Jean-Pascal van Ypersele. Professore all’università cattolica di Lovanio, in Belgio, presso il dipartimento Earth and life institute, van Ypersele è stato nel 2008 vicepresidente del Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) organo delle Nazioni unite impegnato nel monitorare i cambiamenti legati al riscaldamento globale. Insignito del Premio Nobel per la pace nel 2007 per l’impegno nella lotta ai cambiamenti climatici, è oggi uno dei più ferventi sostenitori dei Fridays for future, il movimento studentesco che chiede alla classe politica di agire presto in materia di riscaldamento globale.

Quali sono le conseguenze del riscaldamento globale già presenti nel nostro quotidiano?

Gli eventi naturali estremi, caratterizzati da un aumento in termini di frequenza e di intensità, sono chiaramente legati al riscaldamento globale. Le ondate di caldo degli ultimi anni sono decisamente più intense. Se prendiamo il caso del 2003, possiamo stimare a 70 mila i decessi dovuti al caldo nella sola Europa. Le precipitazioni sono anch’esse più intense e più violente, conseguenza della maggiore evaporazione degli oceani e di un maggiore carico di vapore acqueo nell’atmosfera. Con maggiori possibilità di provocare inondazioni e smottamenti. È importante poi evocare il fenomeno della progressiva desertificazione del bacino mediterraneo. E viene da chiedersi se gli incendi che abbiamo registrato negli ultimi anni nella penisola iberica non siano anch’essi il segno del riscaldamento globale.

I fenomeni estremi che abbiamo visto in Italia in questi giorni sono anch’essi dovuto al riscaldamento climatico?

Come dicevo, l’aumento della frequenza e dell’intensità delle piogge è chiaramente legato al riscaldamento globale. Il caso di Venezia è un po’ diverso, aggravato dall’aumento del livello del mare, aumentato nell’ultimo secolo in media di 20 cm. Questo significa che quando siamo in presenza di una tempesta associata ad una alta marea, in un quadro generale di aumento del livello del mare, è chiaro che il fenomeno dell’acqua alta è destinato negli anni a venire a segnare dei record sempre più importanti.

Perché è cosi importante restare sotto questa famosa soglia di 1,5°?

Se prendiamo il caso di un amento della temperatura di un 1,5° è stato calcolato che il 14% della popolazione mondiale sarebbe esposta a fenomeni estremi legati al riscaldamento globale almeno una volta ogni cinque anni. Se il riscaldamento aumenta di un altro mezzo grado, raggiungendo la soglia di 2°, questa percentuale passa al 37%. Se parliamo di estinzione delle specie, e in particolare dei vertebrati, se il riscaldamento è limitato a 1,5° il 4% delle specie perderebbe almeno la metà del proprio habitat. Con l’aumento di mezzo grado in più, le specie toccate passerebbero all’8%. Fra il 70 e il 90% delle barriere coralline sarebbero gravemente intaccate con un riscaldamento di 1,5°, la totalità con un aumento medio di 2°.

Come spiega l’approccio negazionista di alcuni capi di stato quando invece la scienza dice il contrario?

Mi viene in mente il film Una scomoda verità. Le informazioni che abbiamo oggi sul riscaldamento globale sono molto solide e hanno consenso ampio nel mondo scientifico, almeno fra quanti hanno le competenze per potersi esprimere. Questo consenso disturba, perché se vogliamo agire in materia di clima bisogna mettere in questione l’utilizzo delle energie fossili. Cambiare è possibile, ma questo implica una rivoluzione in molti campi, partendo dal modo con cui produciamo e consumiamo energia. Se continuiamo come abbiamo sempre fatto andiamo a sbattere contro un muro.

Il movimento dei Fridays for future ha dato impulso e visibilità all’appello degli scienziati e la scienza ha dato legittimità alle manifestazioni dei ragazzi.

È proprio cosi. Personalmente sono spesso sceso a manifestare per le strade di Bruxelles a fianco dei ragazzi con un pannello e la scritta «I giovani e l’Ipcc più forti insieme». Certo, è più difficile restare indifferenti quando è un giovane, angosciato per il proprio futuro, ad interpellare il mondo politico rispetto ad un rapporto dell’Ipcc, troppo spesso dimenticato in un cassetto.

Cosa si aspetta dalla Cop25 di Madrid?

Mi aspetto tre cose. La prima, finalizzare l’insieme dei regolamenti che compongono gli accordi di Parigi (Cop21), ancora lontani dal dirsi definitivi. Mi riferisco in particolare all’uso del carbone come combustibile fossile, su cui non c’è ancora nessun accordo. La seconda, fissare la soglia massima del riscaldamento globale a 1,5°. Oggi gli accordi di Parigi ci dicono che dobbiamo contenere l’aumento della temperatura globale sotto i 2°. La terza, l’attuazione di un fondo internazionale per la transizione climatica, con fondi per almeno 100 miliardi di dollari per anno, oggi fermi a soli 10 miliardi.

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