La mia prima lettura dell’Ulisse di Joyce fu un’esperienza, tra divertita e allarmata, di riconoscimento: mai avrei pensato di ritrovare in un grande classico della letteratura mondiale le espressioni, canzoni, battute – alle mie orecchie piuttosto banali – del mondo in cui ero cresciuto. Ma l’esperienza più autentica del romanzo non è quella di un insider irlandese, piuttosto quella di un lettore che, ignaro di quel mondo ed estraneo al labirinto dublinese, per trovare la propria strada nella fitta nebbia joyceana debba individuare dei punti di riferimento suoi propri. Come lo stesso Ulisse, dirottato dalle onde del Mediterraneo, ogni lettore dell’Ulisse di Joyce deve trovare un proprio modo di orientarsi nel romanzo.

Il progetto di Joyce si basa sull’idea che si attinge all’universale attraverso il microcosmo. Quanto più si è particolari – e fedeli ai minuti dettagli della realtà – tanto più si fa stringente il rapporto con l’universalità. La fedele rappresentazione dell’Irlanda non era per Joyce un fine in sé: ciò che rende l’Ulisse un romanzo di rilievo universale non è l’irlandesità del suo mondo ma la sua specificità. Il contesto socio-culturale è un punto di partenza, non un obiettivo. Il traduttore del romanzo è dunque costretto a tener conto di queste realtà multiple che operano ad ogni livello del testo, svolgendo al contempo le mansioni di storico, filologo, linguista e mistico.

Tutti i contesti
Enrico Terrinoni, che con Fabio Pedone è reduce da una magistrale traduzione di Finnegans Wake, traduce l’Ulisse (Bompiani, testo a fronte, pp. 2080, euro 45,00) una seconda volta. La nuova versione incorpora migliaia di cambiamenti rispetto alla precedente, alcuni minimi altri fondamentali. Le sfumature di ogni parola sono state soppesate tenendo conto non solo del contesto storico-culturale dell’Irlanda del primo ‘900, ma anche rispetto alle funzioni – simboliche, fonetiche, linguistiche, perfino visive – che ciascuna parola è tenuta ad esercitare nella grande macchina dell’Ulisse.

Le ampie note che accompagnano il testo rivelano implicitamente l’enorme sforzo intellettuale dietro questa traduzione e lo straordinario setaccio filologico attraverso il quale è passata la scelta di ciascuna parola. Come guida ai molti contesti del romanzo ha pochi confronti in qualsiasi altra lingua, inglese compreso.

I contesti sono davvero molteplici. Il primo, quello di Dublino nel 1904, il palcoscenico su cui si svolge l’azione dell’Ulisse, non è facile da ricostruire, soprattutto perché non si tratta di un contesto solo ma di una serie di contesti sovrapposti. L’Ulisse è spesso interpretato come il romanzo per eccellenza della metropoli moderna. Ma Dublino nel 1904 ha poco a che spartire con le grandi città dei modernisti, la Londra di Woolf o la Parigi di Proust. Questo contesto tanto specifico è descritto in modo lucido e brillante in un saggio introduttivo dello studioso di folklore Diarmuid Ó Giolláin. Attingendo a fonti straordinariamente ricche ma poco conosciute agli studiosi del modernismo letterario, Ó Giolláin ricostruisce i diversi strati della cultura popolare di Dublino nel primo Novecento.

Ó Giolláin ritrae una città dove la millenaria cultura contadina, con il suo stretto rapporto con la natura e l’agricoltura, e i suoi riti scaramantici e pagani, è ancora viva nella prima periferia della città, a pochi chilometri dai luoghi dell’infanzia di Joyce. Dublino è allo stesso tempo: una città sfregiata da fame e povertà in cui molte delle grandi dimore signorili del ’700 sono state trasformate in sovraffollati bassifondi; una città provinciale della Gran Bretagna che considera Londra la propria capitale; una città dominata da un cattolicesimo piccolo-borghese che riconosce in Roma il proprio centro; il focolaio della rinascita culturale irlandese che punta a divenire la futura capitale di uno stato indipendente.

Testimone di questo miscuglio è il repertorio di musica popolare che caratterizza l’Ulisse: operette italiane, antiche ballate irlandesi, canzonette dei music halls inglesi, inni in Latino – musiche diverse che coesistono insieme nelle menti del popolo dublinese. Il saggio di Ó Giolláin merita una lettura attenta da parte di tutti gli studiosi di letteratura modernista; è però solo la prima delle molte chiavi di lettura dell’Ulisse proposte nell’edizione di Terrinoni.

Com’è noto il romanzo racconta una storia trasversale che si svolge in un giorno specifico, offrendo un catalogo dettagliato di luoghi, persone, oggetti, eventi: morti, nascite, vita politica, desideri, sogni, rapporti commerciali, cultura alta e cultura popolare, musica, vestiti, bevande, cibo. L’obiettivo non è solo quello di rappresentare le manifestazioni immediate di tutto ciò, ma anche di rintracciarne elementi costitutivi e provenienze: da qui, l’attenzione dedicata a ogni tipo di debito e storia di origine. Quando Bloom apre il rubinetto e l’acqua scorre, Joyce ci ragguaglia su tutto il lavoro umano e naturale che rende possibile questo miracolo:

«È scorsa?
Sì. Dal bacino idrico di Roundwood nella contea di Wicklow con una capacità cubica di 2.400 millioni di galloni, passando per un acquedotto sotterraneo di condotti di filtraggio a conduttura singola e doppia costruiti ad un costo di impianto iniziale di £5 a iarda …»

Lo stesso metodo viene applicato all’analisi della psicologia umana. Il romanzo apre e disseziona la mente nelle sue varie componenti, incluse le tracce di cultura, politica, pubblicità, che risiedono a fianco di memorie personali e desideri intimi. Lo stesso vale per il linguaggio scomposto nei suoi singoli elementi: il linguaggio parlato nei suoni e quello scritto nelle lettere. Le lettere e i suoni hanno anch’essi una loro propria odissea nell’Ulisse. Il che significa che per ciascuna parola il romanzo propone vari possibili contesti: socio-culturale, psicologico, linguistico, e così via. Solitamente le edizioni critiche ne favoriscono uno (enfatizzando il nazionalismo irlandese, per esempio, o i riferimenti ad Omero).

L’encomiabile impresa di Terrinoni è di tener vivi tutti questi livelli nelle note senza farne prevalere nessuno, e evitando – con un tono diretto e vivace – il rischio che il testo ne sia sopraffatto: massima serietà filologica senza cedimenti a pedanterie e minuzie; l’attenzione a dettagli storici concreti convive con un rispetto quasi mistico per il mondo immaginario di Joyce.

Edizione incomparabile
Terrinoni sembra partire dal principio che l’Ulisse non è un semplice romanzo ma, appunto, un intero mondo. Il compito dell’editore-traduttore è allora quello di amplificare, scoprire e disegnare la mappa di questo mondo complesso. L’editore prende sul serio ogni aspetto dell’universo di Joyce, compresi quelli più esoterici come la numerologia. La nota che accompagna la prima parola del romanzo – «stately» in inglese, «statuario» nella traduzione di Terrinoni – copre quattro pagine e costituisce un breve saggio sul metodo dell’Ulisse.
Non conosco un’edizione comparabile a questa, neanche in inglese.

L’incarico di rivestire l’inglese di Joyce in panni italiani è stato per Terrinoni l’occasione per indagare l’universo joyceano a ogni livello. Il risultato è un atlante – di enorme valore non solo per gli italiani ma per chiunque desideri approfondire la conoscenza del testo di Joyce – di tutti i mondi, e sono tanti, che l’Ulisse coinvolge e ingloba. Se lo ius soli valesse per la letteratura, l’Ulisse, che fu scritto in buona parte a Trieste, dovrebbe essere considerato un romanzo italiano. E con questa edizione italiana, Terrinoni ridà il libro a tutti, irlandesi compresi.