Jacques Vaché, l’eccentrico maestro di Breton
Scaffale Bordolibero pubblica una nuova versione delle sue «Lettere di guerra 1916-1918». Le sue missive si caratterizzano per il tono ironico, che non disdegna l’impiego di neologismi o vocaboli alterati, sulla falsariga del linguaggio insensato impiegato da Jarry nel suo «Ubu Roi». L'autore morì, a ventitré anni, in una anonima stanza di albergo, per overdose di oppio
Scaffale Bordolibero pubblica una nuova versione delle sue «Lettere di guerra 1916-1918». Le sue missive si caratterizzano per il tono ironico, che non disdegna l’impiego di neologismi o vocaboli alterati, sulla falsariga del linguaggio insensato impiegato da Jarry nel suo «Ubu Roi». L'autore morì, a ventitré anni, in una anonima stanza di albergo, per overdose di oppio
L’edizione originale delle Lettres de guerre venne pubblicata dalla casa editrice Au sans pareil nel 1919, a cura e con prefazione di André Breton. Nello stesso anno apparvero su «Littérature» ampi stralci della raccolta poetica Les Champs magnétiques, scritta a quattro mani da Breton e Soupault, universalmente conosciuta come la prima opera surrealista, in quanto inaugurava il metodo dell’écriture automatique.
L’AUTORE di quelle lettere, Jacques Vaché, era morto in circostanze misteriose, ad appena ventitré anni. Il suo corpo era stato trovato senza vita, insieme a quello dell’amico commilitone Paul Bonnet, nella camera di un anonimo albergo di Nantes, a distanza di un paio di mesi dall’armistizio. Entrambi erano morti a causa di un’overdose d’oppio. Si congetturò a lungo intorno a questa sorta di suicidio programmato e la figura stessa di Vaché fu spesso associata a quella di altri due suicidés de la société come Arthur Cravan e Jacques Rigaut, inimitabili antesignani delle avanguardie storiche. Vaché non aveva pubblicato un solo libro, ma aveva dato vita, insieme ad alcuni liceali soprannominati Sârs, alle riviste «En route, mauvaise troupe» e «Le canard sauvage».
NEL 1916 CONOBBE André Breton e Théodor Fraenkel che lavoravano in qualità di assistenti medici presso l’ospedale di Nantes, dove Vaché venne ricoverato a causa di una ferita alla gamba. È in quell’occasione che frequenta anche Jeanne Derrien, infermiera che diventa una delle sue corrispondenti privilegiate (fra i destinatari bisogna annoverare anche Louis Aragon). Vaché spedirà dal fronte, dove lavora come interprete per il contingente inglese, parecchie lettere firmate con pseudonimi diversi, tra cui Jack o Harry James, che rivela la sua ammirazione per l’opera di Henry James.
Esce ora per le Edizioni Bordolibero una nuova versione di Lettere di guerra 1916-1918 (pp. 152, euro 16,50), ben curata da Caterina Pastura. Il libro offre un ritratto a tutto tondo di Vaché che va degnamente a integrare i due precedenti lavori di traduzione, affidati rispettivamente a Ottavio Fatica e Eva Czercl per Kane nel 1978 e a Elena Paul per Duepunti edizioni nel 2005, recuperando una serie di missive, mai affrontate in italiano, indirizzate alla summenzionata Jeanne Derrien.
Le lettere di Vaché si caratterizzano per il tono ironico, che non disdegna l’impiego di neologismi o vocaboli alterati, sulla falsariga del linguaggio insensato impiegato da Jarry nel suo Ubu Roi. Tali distorsioni sintattiche divengono uno dei tratti distintivi del suo idioletto, alla stregua dell’abbigliamento militare ineccepibile e della capigliatura in fiamme. I termini «humour» e «poète» si trasformeranno così in «umour» e «pohète» e il testo stesso si correda di disegni sarcastici che prendono di mira la vita militare, come si arguisce da questo frammento epistolare indirizzato a Breton: «Niente uccide un uomo quanto l’obbligo di rappresentare una nazione».
TALI INTERVENTI GRAFICI si configurano come una sorta di commento visivo alle cronache belliche, laddove i soldati, soprattutto del contingente britannico, vengono ritratti con l’essenzialità assegnata a esseri sottoposti all’azione di una paradossale machine à décerveler. «Il Regno del Fango è assoluto, una sorta di maionese impazzita, molto liquida e fredda, che fa cantare sotto i piedi gorgoglii spaventosi» osserva l’autore con una nota di disgusto.
Breton, che lo definisce il suo indiscusso maestro («Vaché è surrealista in me» sosterrà nel Primo manifesto del surrealismo, edito nel 1924), si adopera al fine di far conoscere la sua opera: oltre alle Lettres de guerre, contenenti una quindicina di missive, pubblica qualche frammentario contributo sulla «Révolution surréaliste».
È IL CASO DELLA NOVELLA Le sanglant symbole, uscita con lo pseudonimo di Jean-Michel Strogoff, il cui protagonista è ispirato a Théodor Fraenkel, surrealista sui generis che stilerà con Artaud e Desnos la celebre Lettera aperta ai primari dei manicomi, apparsa nel n. 3 del succitato periodico. Vaché è, agli occhi di Breton, l’incomparabile «Des Esseintes dell’azione». L’ammirazione del «papa» del surrealismo sconfinerà nella stesura di quattro prefazioni accolte nella ristampa delle Lettres de guerre, effettuata nel 1949 da K éditeur, e nella scelta di alcuni brani per la mitica Antologia dello humour nero.
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