Istantanee e voci sui soggiorni inglesi-americani in Liguria
Da Byron a Seamus Heaney Massimo Bacigalupo riunisce una serie di cronache, occasioni letterarie, testi e immagini in veste di «lettore-scholar» residente: «AngloLiguria», almanacco conversevole pubblicato da il canneto
Da Byron a Seamus Heaney Massimo Bacigalupo riunisce una serie di cronache, occasioni letterarie, testi e immagini in veste di «lettore-scholar» residente: «AngloLiguria», almanacco conversevole pubblicato da il canneto
Un bel ritratto di Ernest Hemingway sulla copertina di AngloLiguria da Byron a Hemingway (Il Canneto editore, pp. 283, euro 24,00), l’ultimo libro di Massimo Bacigalupo, mostra lo scrittore in uno dei suoi momenti meno scontati: riflessivo, malinconico. Fu eseguito a Rapallo nel febbraio del 1923 dal pittore americano Henry Strater per ingannare giornate uggiose. C’è un’armonia di verde e ambra nel ritratto, una pienezza organica fratta dal velo di inquietudine catturata nell’intensità del volto. Lo stesso stato d’animo percepibile nell’unico racconto (un racconto strano, cupo) scritto da Hemingway a Rapallo: Gatto nella pioggia. Anche questo pare un esempio di «scrittura angloligure», come la intende Bacigalupo: un contatto tangenziale, un punto felice in cui luogo, soggetto ed evento creativo si incontrano.
A sedici anni di distanza da Grotta Byron. Luoghi e libri, questo singolare almanacco ligure raccoglie brevi cronache e occasioni letterarie (41 pezzi, tante immagini, didascalie narrative, e fotografie festose: un libro nel libro), in cui l’autore – in veste di residente o di clericus vagans – con tono conversevole parla spesso in proprio, da attore discreto, forte di un patrimonio tutto suo. C’è la ricchezza delle letture, da cui, nella prima delle quattro parti, egli recupera la storia del turismo ottocentesco presso lo scomparso Hotel Croce di Malta di Genova e i suoi dintorni, condensando al volo vignette su Mark Twain, Charles Dickens e Henry James (pungente quella su James, un esteta sempre in cerca del pittoresco, al quale un ragazzino senza peli sulla lingua volle mettere le cose in chiaro: ciò che per il forestiero è «pittoresco» per altri è «fame»); e c’è l’abile montaggio – e qui sta il raro e il prezioso – di pezzi su escursioni esplorative, carteggi inediti, reperti ritrovati, aneddoti sulle stravaganze di bravissimi «minori» liguri (Alberto Pescetto, Piero Carlini, Roberto Giannoni…), chiose sui grandi che vissero per qualche tempo sul «Golfo inglese» (un «golfo divino» per Shelley), e incontri con alcuni degli ultimi eminenti della letteratura: Seamus Heaney, Robert Creeley, Allen Ginsberg. Memorabile resta l’equivoco su un «battito» un ritmo «sotterraneo» (un ritmo del cuore o un ritmo duro?), descritto da Ginsberg durante una sua stravagante performance a Genova nel 1979: uno scherzo dell’omofonia (heart beat/hard beat) di cui fu vittima Fernanda Pivano, una genovese doc, nella sua traduzione istantanea.
Sparse qui e là spuntano le agnizioni subitanee del Bacigalupo-scholar, pronto ad afferrare intriganti connessioni testuali. Come quando legge una guida inglese di Rapallo del 1905, o quando gli capita di osservare il movimento di piccoli organismi nel Golfo del Tigullio: le «velelle», micro-meduse che, riunendosi in famiglie, creano l’illusione di una barca a vela. Il fenomeno deve aver sorpreso Ezra Pound, perché lo registra in un passo tutto ligure rimasto inedito. Serve citarlo anche per respirare l’aria che si viveva alla fine degli anni Trenta: «Ma qui nel Tigullio / smeraldo sopra zaffiro / uccelli d’aprile nel silenzio / quando il fico ingrossa in due settimane / un lontano tac di bambù per battere giù le olive / il nautilo portato a riva sotto la scogliera, banchina galleggiante, / sospinto come fiori di glicine / poi fetore nel sole». Il nautilo (le velelle) e il glicine (colore di medusa) torneranno nei Canti pisani, trasfigurati in altro composto più ermetico, ma la loro genesi connotativa è lì: nel contatto fugace dell’occhio del poeta con il paesaggio che lo ospita.
Bacigalupo li chiama «istantanee» questi addenda alla storia culturale della sua terra (e dei suoi interlocutori), curiosità «che fissano uno sguardo momentaneo, un’impressione, senza pretesa di completezza ed esaustività. Ma spesso – egli aggiunge – il bello sta nei dettagli, che permettono di afferrare persone e scritture nel loro farsi storico e geografico». Quale fu il caso di Hemingway, còlto da Strater in un momento di incertezze sul suo futuro di scrittore. O il caso, più triste di Robert Lowell, piombato a Rapallo nel 1954 in occasione della morte della madre, da lui commemorata in Salpando verso casa da Rapallo, una densa poesia che è anche un elogio vitalistico della riva che si allontana: «Quando m’imbarcai dall’Italia con il corpo di mia madre, / tutta la costa del Golfo di Genova / stava sbocciando in fiori di fuoco». L’incanto del luogo compensa oppure si fa ammiccante, come potrebbe essere stato per Virginia Woolf che, sostando a Lerici nel 1933, si trovò a meditare sul corpo di Shelley, rotolante «qua e là fra le perle», in acque di spuma, «il più bel letto di morte» – si legge nel suo diario – «che avessi mai visto».
Il libro è ricco di queste piccole corrispondenze, note a margine di corpi testuali sfiorati dall’eco di uno spazio. Pochi sanno, per esempio, che nel 1877 fu dedicata a Byron una grotta a Portovenere (Grotta Arpaia). La targa bilingue ricorda che da quella grotta («ispiratrice»), ora scomparsa, l’autore «del sublime poema Il corsaro», da «ardito nuotatore» qual era, «da Portovenere a Lerici / sfidò le onde del Mar Ligure». Fu un conte a farsi promotore del nobile gesto, non immaginando quali illustri lettori si sarebbero misurati in seguito con le sue parole (scorrette in inglese e in parte favolistiche). Henry James liquidò con sprezzatura la grotta («plebea») e l’epigrafe («eccessiva»), ironizzando su un poeta che delle sue facili sfide aveva riempito il mondo. Più simpatizzante fu, qualche decennio più tardi, la lettura di Pound, buon nuotatore come Byron. Con qualche ritocco, un’aggiunta di dettagli, un rimando al poco ulisside James, Pound risale alla lirica in cui Byron mitizza una sua (presunta?) nuotata da Sesto ad Abido e ritorno, battendo nell’impresa lo sfortunato Leandro del mito. Il golfo, in cui Shelley annegò creando il suo mito, si fa testo a più mani, e la traversata di Byron trova – nelle traversie delle sue metamorfosi letterarie e marine – un plausibile assestamento: «alla sponda opposta (Lerici) come di Ellesponto / con pericolo di onde traversò». Possiamo vederla la dirupata Grotta Byron sul nostro Ellesponto – così come appariva nel 2005 – in una fotografia raccolta in AngloLiguria, un’istantanea che immortala un altro grande poeta, Seamus Heaney, fermato dall’obiettivo mentre impugna la grata di protezione sul mare, quasi a proteggere i sacri resti (e i suoi echi) da ulteriori emendamenti e continuarne così, con una semplice immagine, la storia.
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