Internazionale

Israele ordina lo sgombero della sede Unrwa a Gerusalemme

Il campo sfollati di Tel al Sultan prima e dopo il raid israeliano di domenica scorsaIl campo sfollati di Tel al Sultan prima e dopo il raid israeliano di domenica scorsa – Maxar Technologies

Davanti agli occhi Raid dal nord al sud di Gaza, altri 32mila palestinesi in fuga da Rafah. Attacchi a Ramallah e Jenin. Gli esperti e i relatori speciali dell'Onu lanciano un nuovo appello: «Basta armi a Tel Aviv»

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 31 maggio 2024

Del campo di Tel al-Sultan, colpito domenica sera da un raid israeliano, non resta quasi nulla. Le tende che erano sopravvissute alle bombe e al rogo le hanno smontate gli sfollati stessi, quando se ne sono andati. Le immagini satellitari del prima e del dopo le ha catturate Maxar Technologies.

A spiegare le ragioni della fuga di altre 32mila persone sono i numeri resi noti ieri da Save the Children: in quattro giorni di attacchi sulle «zone sicure» di Rafah (così identificate dall’esercito israeliano) sono stati uccisi almeno 66 palestinesi. «Di quali altre prove i leader hanno bisogno per capire che non ci sono assolutamente luoghi sicuri a Gaza? – chiede Xavier Joubert, responsabile della ong per i Territori occupati palestinesi – Sono costantemente in fuga per la loro vita, da una zona pericolosa a un’altra. Non scappano a caso, vanno nelle zone dove Israele ha detto di andare “per la loro sicurezza”. Poi, vengono attaccate».

È ANCHE di questo, della gestione mortifera delle zone sicure, che mercoledì hanno scritto i relatori speciali, gli esperti e i gruppi di lavoro delle Nazioni unite in un nuovo appello: «Da Rafah sono arrivate immagini strazianti di distruzione, sfollamento e morte, tra cui neonati fatti a pezzi e persone bruciate vive…Gli attacchi sono stati indiscriminati e sproporzionati».

Nell’indicare in tali attacchi «gravi violazioni del diritto di guerra e un triste promemoria dell’urgente necessità di un’azione internazionale», relatori ed esperti chiedono inchieste indipendenti, ma soprattutto sanzioni ed embargo: «Il flusso di armi verso Israele deve smettere subito. È abbondantemente chiaro che vengono usate per uccidere brutalmente e menomare i civili palestinesi».

Sono almeno 36.244 gli uccisi a Gaza dal 7 ottobre, a cui si aggiungono per lo meno 10mila dispersi e 81.420 feriti. Tra le aree più colpite, ci sono il campo profughi di Jabaliya a nord, Deir al Balah al centro, Rafah a sud.

A Jabaliya l’offensiva recente è stata particolarmente violenta, con il ritorno delle truppe di terra e dei carri armai israeliani. Ieri molti sfollati sono rientrati nei quartieri distrutti dopo 20 giorni di fuoco. «Il campo di Jabaliya non c’è più – racconta ad al Jazeera una donna, Asma al-Masri – Non ci sono più scuole né ospedali, la distruzione è così grande che non si riesce a immaginare».

Tra le vittime di ieri, c’è il figlio di un giornalista, Motasem Dalloul, ucciso a Gaza City. Un altro dei suoi figli era stato ammazzato a maggio. E sono stati recuperati i corpi senza vita di due paramedici, uccisi nella strage di Tel al-Sultan di domenica: Haitham Tubasi e Suhail Hassouna, fa sapere la Mezzaluna rossa palestinese, sono stati «deliberatamente colpiti sulla loro ambulanza».

È degli operatori umanitari palestinesi che ha scritto ieri Philippe Lazzarini, il capo di Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, sul New York Times. Ai 19 della Mezzaluna, si aggiungono 192 impiegati dell’Unrwa uccisi dal 7 ottobre e i 170 centri colpiti e distrutti. Numeri che Lazzarini elenca in risposta al primo voto alla Knesset che intende dichiarare l’agenzia «organizzazione terroristica»: «Stanno creando un pericoloso precedente di attacchi al personale e alle sedi delle Nazioni unite. (…) Se tolleriamo tali attacchi nel contesto di Israele e dei Territori palestinesi occupati, non possiamo sostenere i principi umanitari in altri conflitti nel mondo».

NELLE STESSE ORE la Israel Land Authority ordinava lo sgombero entro 30 giorni della sede di Unrwa a Gerusalemme est occupata, accusandola di un debito di oltre 7 milioni di dollari verso l’autorità occupante per aver utilizzato «terreno di Stato» per sette anni.

Intanto dentro Israele monta lo scontro nel gabinetto di guerra. Ieri il partito di Benny Gantz ha presentato una proposta di legge per sciogliere il parlamento e tenere elezioni anticipate in chiave anti-Netanyahu. Una mossa che probabilmente morirà sul nascere e a cui il Likud ha già risposto («La dissoluzione del governo di unità è una ricompensa per Sinwar»).

Indirettamente rispondono anche gli israeliani: secondo un sondaggio di Channel 12, il 36% preferisce avere come primo ministro Netanyahu. Gantz segue con il 30%. A tenere su Bibi, ci sono anche gli alleati. Come il ministro ultrà di destra Smotrich che ieri ha minacciato la Cisgiordania: «Vi ridurremo in macerie come Gaza se il terrore contro le colonie continuerà», ha scritto su X nelle stesse ore in cui a Jenin l’ennesima invasione israeliana feriva sei palestinesi e a Ramallah il fuoco israeliano provocava un incendio al mercato della frutta e della verdura.

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