Si chiamava Alaa Qaddum aveva cinque anni ed è stata uccisa nell’attacco aereo del 5 agosto che ha aperto l’offensiva aerea israeliana contro Gaza. Alaa è il primo nome dell’elenco di 15 bambini e adolescenti morti durante i tre giorni dell’offensiva Breaking Dawn. Alla lista ieri pomeriggio si è aggiunto un 16esimo nome, quello di Hanin Abu Qaida, 10 anni, spirata in ospedale. Hazem, 12 anni, Moamen, 4 anni, Jamil, 6 anni, sono solo alcuni dei nomi delle altre giovanissime vittime. Di loro si dovrebbe parlare, di loro dovrebbero occuparsi i media. Bambini uccisi dai bombardamenti aerei denunciano con forza i palestinesi. Israele nega. L’ambasciatore all’Onu Gilad Erdan sostiene che i bambini dai corpi straziati, portati via senza vita dalle loro abitazioni a Jabaliya e al Burej, sarebbero l’esito delle azioni di «terroristi responsabili di crimini di guerra e della morte di cittadini, compresi i bambini, a Gaza». E ha anche mostrato immagini per provare come «siano stati minimizzati i danni collaterali nell’operazione», cioè le morti civili. Una versione dei fatti non insolita per Israele, denunciavano ieri attivisti palestinesi, ricordando che anche dopo l’uccisione lo scorso maggio della giornalista Shireen Abu Akleh a Jenin, l’esercito israeliano aveva attribuito la sua morte a colpi sparati da palestinesi. Poi più fonti, anche internazionali, hanno accertato che lo sparo contro la reporter di Al Jazeera era partito da un’arma israeliana.

Dopo l’inizio del cessate il fuoco domenica alle 23.30 l’interesse si è concentrato su presunti vincitori e vinti, sui riflessi dell’escalation sulla campagna elettorale israeliana, sui consensi interni ottenuti dal premier Yair Lapid che attaccando Gaza e decimando vertici militari del Jihad islami si sarebbe guadagnato il titolo di Mr. Sicurezza già assegnato al suo rivale Benyamin Netanyahu. In tutta fretta sono stati messi ai margini i 45 palestinesi uccisi e 360 feriti. Una bambina di 11 anni, Rahat Suleiman, ferita da un raid aereo ha subito l’amputazione delle gambe. Tra i morti il Jihad ha identificato 12 membri della sua ala militare, le Brigate Al-Quds. Anche l’altro e più importante movimento islamico, Hamas, che controlla Gaza, ha avuto due morti pur non avendo preso parte al lancio di razzi verso il centro e il sud di Israele dove hanno causato una trentina di feriti leggeri e danneggiato alcuni edifici e strutture industriali.

«Tutti gli obiettivi sono stati raggiunti. La leadership militare del Jihad a Gaza è stata neutralizzata. Il nostro esercito ha assestato un colpo forte al nemico». Così si è espresso ieri sera Lapid in un discorso agli israeliani. Secondo lui Israele avrebbe ha compiuto «uno sforzo particolare per non colpire persone non coinvolte» nei combattimenti. «La morte di innocenti, fra cui bambini, spezza il cuore» ha aggiunto mostrandosi contrito e amareggiato. Quindi ha suggerito ai palestinesi di Gaza di avviarsi sulla «strada dell’innovazione, della economia e dello sviluppo regionale. Il vostro futuro dipende da voi». Ah certo, i palestinesi di Gaza si avvierebbero con piacere sulla strada dell’innovazione ma da quindici anni sono di fatto prigionieri a Gaza e sotto embargo israeliano. Lapid ha concluso con una promessa: «Anche in futuro, se sarà necessario, lanceremo un attacco preventivo per difendere Israele, i suoi cittadini e le sue infrastrutture. E questo vale per tutti i fronti, da Teheran a Khan Yunes».

Qualche ora prima del suo discorso le forze armate avevano precisato che non verrà rilasciato il comandante del Jihad in Cisgiordania Bassam al Saadi, arrestato a Jenin una settimana fa, e neppure Khalil al Awawda che digiuna da settimane contro la sua detenzione senza accuse. La loro scarcerazione, afferma il Jihad, è parte dell’accordo di cessate il fuoco mediato dall’Egitto. L’unica buona notizia della giornata è che è ripartita la centrale elettrica di Gaza dopo l’arrivo di autocisterne cariche di gasolio.