La vita di Irma Brandeis (alias Clizia) è tutt’ora un enigma da spiegare: Proust permettendo, comprenderne i dettagli può essere utile per l’esegesi delle poesie montaliane più intricate, Iride e La primavera hitleriana, e per la singolare complessità della figura. Paolo De Caro ha già fornito due profili essenziali – Journey to Irma (De Meo, 1999) e Irma politica (Renzulli, 2001) – in cui si evidenziava il legame della famiglia Goldmark-Brandeis con l’eresiarca settecentesco Jakub Frank che annunciava la parusia di Cristo in forma femminile, invitando i seguaci a furiose trasgressioni per attirare l’eschaton, il tempo ultimo.

Sulla linea dello stesso metodo storico-ermeneutico si aggiunge un terzo libro, Ma se ritorni non sei tu e altri scritti montaliani (Centro Grafico Foggia, pp. 460, s.i.p.), che formula una congettura decisiva: «Sarà lecito domandarsi se il viaggio dell’estate del ’38 (Usa-Francia-Italia, fino all’isola istriana, e viceversa al ritorno) sia dovuto soltanto al desiderio di “salvare” Montale, o se piuttosto dobbiamo correlarlo a un impegnativo compito assunto da Irma prima che partisse dagli Stati Uniti: a un risvegliarsi della sua ebraicità di americana ormai assimilata per un’urgenza civile e morale».

Di quale compito si tratta? Irma era nipote di Louis Brandeis, membro della Corte Suprema degli Stati Uniti e consigliere di Roosevelt, sostenitore del sionismo, filantropo. Il ruolo della «messaggera accigliata» sarebbe stato dunque di «una vera e propria “missione”, in favore dei migranti ebrei per gli USA o per la Palestina». Nell’estate del ’38, infatti, la Brandeis compie due viaggi misteriosi, su cui De Caro costruisce le sue ipotesi: nell’isola di Lussino in Croazia («un resort che passava anche come luogo d’intrighi internazionali») e a Parigi. È proprio in quelle circostanze che Irma potrebbe aver portato a termine l’«intermediazione» e l’«assistenza» (ad esempio alla famiglia Vivante, si veda la lirica Palio), le quali darebbero corpo al simbolo poetico e al désarroi di Montale: non soltanto il visiting angel, ma una «missionaria messianica» impegnata nella salvezza del suo popolo con l’indirizzamento di canali di fuga.

La redazione consiglia:
Montale, la poesia è merce da vendere imballata con l’etichetta ‘fragile’

Traduttrice per l’OWI (Office of War Information) dal ’42 al ’44, Irma ha probabilmente svolto «più intrinseci ruoli di intelligence». Cattolica osservante e al contempo atea, assidua frequentatrice di Assisi e devota del rosario, patrologa, medievista, «sensibile pianista», è definita da Montale in una lettera a Glauco Cambon come «inconsapevole Cristofora». Nulla è casuale: «L’aggettivo “cristoforo” – sottolinea De Caro – era stato usato programmaticamente da suor Francesca Saverio Cabrini (…). Questa religiosa, fondatrice dell’ordine delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, svolse la sua opera in favore dei migranti poveri italiani – con profonda passione cristiana, con cuore cristico – soprattutto negli Stati Uniti: una destinazione che non poteva sfuggire alla sensibilità di Eugenio. (…) Questa sua dedizione al soccorso dell’emigrazione sventurata la chiamò a rappresentare la forma originaria che sostanzia la figura di Iride/Irma; cosicché non solo, nei confronti di Eugenio, la storia di Irma diventa la storia di una salvatrice “cristofora” (…); ma anche l’“opera” di Irma, elevata al rango di universale soccorritrice, assume un ruolo “per tutti” e, massimamente, in quegli anni, per i migranti ebrei in fuga dal nazismo».

Ecco spiegati versi come «il Volto insanguinato sul sudario», «cuore d’altri non è simile al tuo», «Iri del Canaan», «è mutata / la tua storia terrena».