Pur sapendo bene che «redigere una storia dell’ignoranza suona bizzarro quasi come il desiderio di Flaubert di scrivere un libro sul nulla», lo storico britannico Peter Burke si cimenta nell’impresa regalandocene una disamina tanto meticolosa quanto convincente. Con questo saggio dal titolo Ignoranza. Una storia globale (Raffaello Cortina Editore, pp. 388, euro 25), egli mette a disposizione del lettore i pareri di filosofi, sociologi, storici, narratori che nel mondo occidentale, durante gli ultimi cinque secoli, si sono interrogati sull’argomento sforzandosi di fare chiarezza sull’incultura nella quale si dibatte da sempre il genere umano. Certo, si tratta di «studiare un’assenza», dal momento che l’ignoranza può essere ragionevolmente definita una «privazione della conoscenza», più o meno parziale che sia.

LE SFUMATURE AL RIGUARDO sono innumerevoli, poiché essa può essere ad esempio attiva, inconscia, genuina, cieca, selettiva, opaca, colpevole, utile, volontaria. Ma va anche inserita nei diversi contesti storici dal momento che da un’epoca all’altra, da un luogo all’altro, da una società all’altra sono cambiati – e di molto – i parametri sulla base dei quali un individuo veniva considerato istruito o ignorante. Scrive lo studioso: «La conoscenza di miti, storia e letteratura e filosofia dell’antica Grecia, o perlomeno la capacità di riconoscere allusioni ai classici fu a lungo considerata indispensabile per ogni uomo colto in Occidente, specialmente tra il 1500 e il 1900. Era anche una colpa, per un gentiluomo, essere ignorante in araldica, compresi i suoi termini tecnici e la capacità di riconoscere gli stemmi delle famiglie importanti».

Finora, però, abbiamo parlato degli uomini. Cosa si può dire, su questo tema, riguardo alle donne? Secondo Burke, l’ignoranza femminile è stata incoraggiata a lungo e in molti campi. Ecco dunque rivelarsi palese come la storia dell’ignoranza debba tenere anche conto delle diverse condizioni di genere e di classe, diventando così una vera e propria storia politica.

LO STORICO ANALIZZA poi in maniera approfondita la cosiddetta ignoranza «intenzionale»: quella dovuta, cioè, alla chiusura ideologica nei confronti del «nuovo» anche se l’attendibilità di quest’ultimo è stata provata in modo al momento inconfutabile. I conflitti scoppiati tra scienza e teologia sono, al riguardo, memorabili. La necessità di rivedere convinzioni che si ritenevano solidissime e dunque inattaccabili è stata per secoli oggetto di odio da parte di quanti non intendevano metterle in discussione preferendo, piuttosto, rifugiarsi in un silenzio carico di ostilità. Sarebbe confortante – spiega l’autore – poter ritenere che, col passare dei secoli, la mentalità degli individui si sia fatta più aperta: la sua indagine, tuttavia, lo induce a pensare che sia rimasta tale e quale. Lo studioso non trascura, inoltre, di esaminare i rovinosi effetti dell’incultura in guerra e negli affari.

A PROPOSITO, poi, dell’ignoranza in politica, egli ci presenta una sorta di «galleria degli orrori» costituita da re, primi ministri e presidenti non certo colti né illuminati ai quali si sono sovente aggiunti collaboratori altrettanto ignoranti: una situazione dalla quale non possono avere origine che catastrofi. E cosa succede, infine, se sul tetto del mondo giunge un personaggio più incolto e rozzo della maggior parte dei cittadini che si troverà a governare?

Burke non dà risposte limitandosi a porre molte, stimolanti domande. Argomenta però sostenendo come, nel corso dei secoli, sia accaduto che l’avvento di nuova conoscenza (o conoscenze) abbia necessariamente implicato l’avvento di nuova ignoranza (o ignoranze). Se è vero che, dal punto di vista collettivo, l’umanità sa oggi più di quanto abbia mai saputo prima, occorre osservare come il singolo individuo non possieda un bagaglio culturale più ampio dei suoi predecessori in quanto egli ha abbandonato i suoi vecchi saperi per fare spazio ai nuovi.

INSOMMA, continuiamo a essere tutti ignoranti: è importante esserne consapevoli e riconoscere dunque i nostri limiti dal momento che, semplicemente, «c’è troppo da sapere» – conclude Burke. Dovremmo riflettere bene, pertanto, prima di dare dell’ignorante alla prima persona che ci capita a tiro.