Quando Nando Martellini si trovò tra le mani la guida al Giro del ’61, lo colpì subito il faccione di Giuseppe Garibaldi impresso in copertina. Da allora in poi, per tutti, corridori e gente al seguito, quel libriccino fitto di mappe e note fu sempre «il garibaldi». Si conveniva stamani con Paolo Perri dell’Università della Calabria, conoscitore di insurrezioni contadine e di volate, che ieri ero stato troppo affrettato nel pronosticare a Terme Luigiane un facile tris Gaviria.

Avevo consultato troppo in fretta il garibaldi, e mi era sfuggito lo strappo all’insù che attendeva il gruppo a fine tappa.
Mi dice sempre Paolo che invece i contadini di Rogliano avevano preso sul serio Garibaldi, quello in carne e ossa. Magari l’Italia non sapevano bene cosa fosse, ma il linguaggio dell’abolizione della tassa sul macinato, del prezzo del sale dimezzato e della redistribuzione della terra tra chi l’aveva sempre lavorata lo capivano.

E così, quando Caribbardu emanò i tre editti, per la prima volta le masse dei diseredati calabresi entrarono nella storia, dalla porta grande. Ripartito Garibaldi e scemato poco a poco l’entusiasmo, gli usurpatori di sempre ne approfittarono per rimettere le cose a posto, come per secoli erano state, e come dovevano rimanere per il quieto vivere di lorsignori. La rivolta divampò, specialmente a Longobardi Marina, con il rituale rogo degli archivi. Ed ecco che i contadini conobbero l’altro volto dell’Italia, non quello di Garibaldi, ma quello dello Stato gattopardo amico dei potenti. Lo stesso volto che hanno conosciuto i braccianti migranti di Rosarno, stuprata dalla repressione della mafia e dei capitalisti e dal razzismo.

Il gruppo ci passa, attraverso Rosarno, e poi da Longobardi, per la verità senza dannarsi troppo l’anima a riacciuffare i fuggitivi di giornata. Per le ruote veloci l’arrivo è troppo duro. Gli uomini di classifica latitano, rimandano ogni occasione di incontro e di scontro, per timore di rimanerci male. Di grandi finesseur in questo Giro non ce ne sono: si godono un secondo letargo dopo le classiche di primavera, ibernati dalle squadre del Pro Tour, invitate a forza a vantaggio degli sponsor e a discapito dello spettacolo. Uno dei pochi a disposizione, Stuyven, ai piedi del podio quest’anno alla Rubaix, era entrato nella fuga, ma lo svizzero Dillier lo anticipa nella volata ed esulta sul traguardo con le mani che cercano di insinuarsi nel caschetto, tra i capelli, come se non ci credesse.