Itamar Ben Gvir lo aveva promesso appena nominato ministro della sicurezza nazionale, due mesi fa: tra le priorità del suo dicastero ci sarebbe stata la reintroduzione della pena di morte in Israele per i palestinesi accusati di terrorismo. Domenica la promessa si è concretizzata nel primo passo della futura legge: il comitato ministeriale sulla legislazione ha approvato un disegno di legge che istituisce la pena capitale per i terroristi.

Via libera del governo Netanyahu, dunque, nonostante il parere contrario (e in teoria vincolante) della procuratrice generale Gali Baharav-Miara che ha definito la proposta «incostituzionale» (a maggior ragione, dice, nella parte che fa riferimento ai Territori occupati, essendo appunto illegalmente occupati).

A presentare il disegno di legge è stato Otzma Yehudit, il partito di ultradestra Potere ebraico, che dettaglia il concetto di «terrorista»: chiunque «intenzionalmente o meno causa la morte di un cittadino israeliano quando l’atto è compiuto per motivi razzisti o di odio e con l’obiettivo di danneggiare lo Stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella propria patria».

Definizione ampia e che non indica i palestinesi come primo obiettivo (tra l’altro, il 20% dei cittadini israeliani è palestinese) da cui la necessità di Ben Gvir e del premier Netanyahu di dare qualche dettaglio in più, indicando nell’uccisione di due coloni israeliani vicino Nablus la molla finale della proposta di legge. La stessa stampa israeliana, a partire dal Jerusalem Post, indica come assai improbabile che a essere condannato a morte possa essere un ebreo che assassina un palestinese.

A livello internazionale le reazioni non sono certo di giubilo. Già qualche giorno fa Amnesty aveva condannato la proposta sia per la crudeltà della pena di morte sia perché la legge «è il tentativo di creare una distinzione su base etnico-nazionalista e questo la rende una legge di apartheid». Condanna anche dagli esperti Onu: «Passo profondamente regressivo» che «tra l’altro si applicherà alle minoranze e a chi vive da 55 sotto occupazione».