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In bilico fra «Me ne fotto» e narcisismo

In bilico fra «Me ne fotto» e narcisismo

Habemus Corpus Si fa presto a dire «State a un metro di distanza gli uni dagli altri». Per riuscirci bisognerebbe andare in giro con un metro da muratore puntato davanti e di lato.

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 10 marzo 2020

Si fa presto a dire «State a un metro di distanza gli uni dagli altri». Per riuscirci bisognerebbe andare in giro con un metro da muratore puntato davanti e di lato. Mica facile, soprattutto se si deve salire su un autobus, un tram o un treno. Difficilissimo anche usarlo al ristorante, a meno che prima di sedersi si sia disposti a misurare la distanza dal vicino dicendogli, eventualmente: «Scusi, lei è a 80 centimetri, si scansi un po». Vero è che in certi momenti verrebbe voglia di sfoderarlo, per esempio quando al bancone di un bar o dal panettiere o al supermercato c’è gente che insiste ad appiccicarsi, sport evidentemente molto amato dagli italiani.

COME dimostrano certe foto scattatate domenica scorsa, neanche 24 ore dopo che due terzi del nord Italia era diventato zona rossa e il governo continuava a ripetere: «State a casa e, se proprio dovete uscire, non incollatevi gli uni sugli altri», su spiagge della Liguria o in coda ad impianti di risalita s’è vista gente di ogni età che era tutta un pigia pigia, alitami addosso tu che ti alito anch’io. Non parliamo poi di chi si è buttato in massa su autobus e treni sabato notte per abbandonare Milano in tutta fretta. Sono corsi tutti a casa da genitori e nonni, così se qualcuno dei ritornanti all’ovile è infettivo asintomatico spargerà il virus all’intero parentado, tanto per mostrare quanto siamo attaccati alla famiglia.
Ma da che cosa sono scappati? Dalla difficoltà a fare la vita di sempre? Dal dover stare più in casa e più attenti quando si esce? Se è così, che cosa fa loro pensare che in Campania, Lazio, Calabria, Puglia o Sicilia il virus si comporti in modo diverso che da Milano, Piacenza o Bergamo? Il Covid-19 non si è fermato ai confini della Cina, figurarsi se si ferma sul bordo delle regioni o sull’uscio di casa. Per farvi un esempio, una persona che conosco ha raccontato di avere parenti al nord ai quali è successa la seguente cosa. La figlia adolescente è stata contagiata, probabilmente accrocchiandosi con chissà chi e chissà dove, e ha trasmesso il virus al padre e alla madre.

LA RAGAZZA se l’è cavata con poco, la madre un po’ meno bene, il padre è stato parecchio male. Ora, se le scuole sono chiuse per evitare assembramenti e contagi, in virtù di quale illuminatissimo ragionamento sarebbe consigliabile lasciare che i figli si appicchino in parchi, bar o modaioli negozi di abbigliamento? Perché c’è una parte d’Italia che continua a pensare «Tanto io non mi ammalo», «Tanto io per ora sto bene», «Tanto qualcuno mi curerà», «Tanto hanno detto che è solo poco più di un’influenza», «Tanto i giovani sono poco colpiti», «Tanto la zona rossa è su al nord»? Che tutta questa gente sia disinformata è un’ipotesi da scartare perché da settimane non si parla altro che di coronavirus e di come evitarlo. Allora che cosa spinge tante persone a essere così superficiali e menefreghiste? Si sentono intoccabili? Non hanno capito? Non hanno voglia di capire? Pensano di essere più furbi degli altri? Faccio tre ipotesi. La prima: è morente il senso di collettività, il sentirsi una parte del tutto e quindi responsabili di un bene comune. Detta in soldoni è come vivere all’insegna del «Penso solo a me e di te me ne fotto». Vorrei poi vederli, quando si ammaleranno, quanto saranno bravi a piagnucolare e pretendere l’aiuto degli altri.
La seconda: non sanno né vogliono capire le conseguenze delle loro azioni, che equivale a vivere in un perenne stadio infantile e narcisista. La terza: sono semplicemente stupidi, e ho usato il termine più elegante che mi è venuto in mente sennò, boccaccia mia…

mariangela.mianiti@gmail.com

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