Lavoro

Il Welfare più ingiusto: paletti per poveri e lavoratori, regali alle imprese

Il Welfare più ingiusto: paletti per poveri e lavoratori, regali alle imprese

Il caso Il problema non sono tanto i tre o cinque parlamentari che hanno preso il bonus dei 600 euro, ma la legge e il governo che lo hanno permesso. Com'è nato il Welfare dell'emergenza nella crisi pandemica senza una visione del futuro. Dal «reddito di emergenza» alla cassa integrazione usata dalle aziende che non hanno perso il fatturato fino al taglio dell'Irap anche per quelle che hanno continuano a fare profitti. Misure occasionali, categoriali, temporanee e già finite hanno reso ora, e renderanno in futuro, la vita delle persone un inferno. Perché il governo rifiuta l’idea di tutele universali e incondizionate, a cominciare da un reddito di base

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 11 agosto 2020

Il problema non sono tre o cinque parlamentari che hanno chiesto il bonus dei 600 euro, ma la legge che lo ha permesso. Questo è uno dei risultati, non il più grave, di un Welfare a geometrie variabili approntato nei mesi dell’emergenza pandemica dal governo che ha riconosciuto sussidi incondizionati ad alcuni e ha imposto ad altri criteri patrimoniali e reddituali così stringenti da rendere impossibile godere di un sussidio a una platea di potenziali beneficiari molto più ampia delle 4 milioni e 60 mila persone raggiunte temporaneamente dal «bonus 600 euro» fino al 19 giugno (dati Inps). Va ricordato, infatti, che questa misura occasionale e improvvisata è finita per la maggioranza dei suoi beneficiari. Quello che il governo ha pensato di fare è dichiarare finita l’emergenza sociale attraverso un decreto. E, invece, è più viva che mai ed esploderà nei prossimi mesi, in forme oggi imprevedibili, moltiplicando la povertà assoluta e relativa già visibili.

Prendiamo il caso meno citato tra le misure adottate: il «reddito di emergenza». Era stato presentato come un «reddito universale» dal segretario del Pd Nicola Zingaretti o dal ministro per il Sud Giuseppe Provenzano. Per la ministra del lavoro Nunzia Catalfo (Cinque Stelle) avrebbe tutelato chi vive e lavora nella zona grigia tra il lavoro dipendente e quello autonomo e sono stati esclusi dai bonus 600 euro alle partite Iva decreto «Cura Italia» e da quelli prorogati nel «decreto rilancio». In realtà le risorse sono state tagliate – da 3 miliardi a poco più di 900 milioni – e il perimetro dei beneficiari della misura – teoricamente un milione di persone – è stato ristretto al punto da avere spinto il governo a prorogare la misura al 15 ottobre con il «decreto agosto». Questo significa che non ha coperto una platea di un milione di persone nelle precedenti due tranche da 800 euro complessivi.

Il «reddito di emergenza» è anche un doppione temporaneo del cosiddetto «reddito di cittadinanza» che nessuno in questa maggioranza ha voluto estendere eliminando i vincoli esistenti, rendendolo coerente rispetto a ciò che oggi non è: un reddito minimo o di base incondizionato. Il risultato è stato modesto: le famiglie numerose che hanno ricevuto il «reddito di emergenza» per qualche mese non possono accedere a quello di «cittadinanza» per diciotto. E, una volta terminato, una frazione di coloro che ne hanno più bisogno torneranno ad essere del tutto invisibili.

Non va dimenticato che dal «reddito di cittadinanza» sono stati esclusi i cittadini extracomunitari residenti da meno di dieci anni. È una norma razzista voluta dalla Lega nel precedente governo che nessuno mette in discussione in quello attuale. Differenziare le categorie, per censo professione e origine, è un modo per governare i poveri, creare gerarchie tra gli ultimi e i penultimi, fomentare il conflitto tra di loro.

In questi mesi la «semplificazione» è stata evocata per costruire cantieri e asfaltare il paese. Mai è stata pensata rispetto all’accesso all’inestricabile sistema degli ammortizzatori sociali. In questo caso vige la legge opposta: costruire burocrazia, rendere la vita un inferno. Per questo sono state moltiplicate misure categoriali come i bonus per artigiani, commercianti, professionisti iscritti alla gestione separata Inps, parasubordinati della stessa gestione, stagionali del turismo, lavoratori agricoli a tempo determinato, lavoratori dello spettacolo, colf e badanti. Il bonus per i lavoratori dello spettacolo o gli stagionali del turismo, sono stati prorogati dal «Decreto agosto», ma finiranno presto. Poi, più nulla, in una crisi che durerà anni.

L’attenzione pubblica si è concentrata sulla maxi erogazione della cassa integrazione, prorogata fino alla fine dell’anno. Si è parlato delle difficoltà dell’erogazione di quella in deroga, cogestita con la regioni, mentre non ha destato sufficiente attenzione il fatto che 284 mila imprese l’abbiano richiesta senza avere perso il fatturato. Significa che hanno obbligato i loro lavoratori a lavorare pagandoli al 70% dello stipendio, se non meno. Con i soldi pubblici. Con il «decreto agosto» il governo ha messo dei «paletti» e chiederà di dimostrare la perdita di almeno il 20% del fatturato prima di riconoscere la Cig. Colpisce, in questo caso, il riconoscimento di misure incondizionate per le imprese, mentre per i lavoratori, i precari e i poveri l’accesso alle tutele è stato condizionato al superamento di paletti di ogni tipo. Dopo il ministro dell’economia Roberto Gualtieri, ieri anche il viceministro Antonio Misiani ha ribadito che nell’emergenza il governo ha privilegiato «la celerità di erogazione». Ma hanno perso di vista la giustizia

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