In aula il video della vittima spiata, scandalo al processo del branco di Pamplona
Spagna I messaggi in cui i 5 pianificavano l’aggressione non sono invece considerati prove. Femministe mobilitate contro la violenza machista
Spagna I messaggi in cui i 5 pianificavano l’aggressione non sono invece considerati prove. Femministe mobilitate contro la violenza machista
Alle femministe spagnole gli hashtag, i tweet, le firme sugli appelli online, le reti sociali piacciono, ma non bastano e così si riprendono le piazze.
IL TEMA all’ordine del giorno è ancora la violenza machista contro le donne, ma non c’è bisogno di aspettare la convocazione ufficiale del 25N, data destinata alla giornata internazionale contro la violenza maschile. Già da una settimana i collettivi chiamano alla mobilitazione a Saragoza, Siviglia, Granada, Barcellona e poi l’altra sera la grande manifestazione a Madrid, proprio sotto il palazzo di giustizia e da lì a bloccare Gran Via. La causa scatenante il processo in corso contro La Manada, il branco, 5 uomini, tra cui un militare e un Guardia Civil, che durante la festa di Pamplona, quella dove i tori scorrazzano tra le persone, hanno ripetutamente violentato una ragazza. Forse l’hanno drogata, come premeditato nei messaggi WathsApp scritti per organizzare la trasferta-stupro da Siviglia, ne hanno abusato a loro piacimento, filmandone le scene con dovizia di particolari. Poi l’hanno abbandonata per strada, mezza nuda e sotto shock, rubandole il telefonino perché le fosse più difficile chiedere aiuto. A loro difesa sostengono che lei fosse consenziente. Pagano un investigatore privato per seguirla e girare un video che la mostra mesi dopo sorridente, in giro con le amiche, allora non ha sofferto più di tanto. Il video è ammesso come prova al processo, i messaggi del branco che organizzano lo stupro, no. Potere patriarcale e disprezzo delle donne, colpevolizzare chi la violenza l’ha subita e giudicarne gli stili di vita.
Niente di nuovo in un paese dove i dati diffusi dalla commissione di governo sulla violenza di genere parlano di 120.600 aggressioni sessuali denunciate all’anno. Cifra che, con una banale divisione, si traduce in 330 violenze al giorno, festivi compresi, con un 40% di stupri veri e propri e il resto abusi sessuali di varia natura. Secondo questo studio il tasso di impunità delle aggressioni sessuali raggiungerebbe un bel 99%. Dati del ministero dell’interno aggiungono che si denuncia solo un 10% delle violenze e che il 28% di chi le subisce è minorenne. È quello che le femministe spagnole chiamano terrorismo machista, chiedendo che venga considerato come una questione di stato e non una piaga a cui dare sollievo ogni tanto. Così lo scorso luglio c’è stato un accordo tra i gruppi parlamentari per definire un Patto di Stato contro la violenza machista. Si è parlato di un patto storico, accolto con sommo gaudio anche fuori dai confini spagnoli: 212 misure e un preventivo di 1.000 milioni di euro come finanziamento. Il primo patto nella storia di Spagna che mette al centro le donne e le loro vite materiali, con la pretesa ardita di definire un nuovo ordine sociale e porre fine all’era della Spagna machista. Bene, con qualche però. Alla fine, per includere quello che tutti i partiti avrebbero sicuramente accettato, è stato approvato un documento troppo basico, una serie di proposte annacquate che le femministe hanno valutato appena sufficienti: si riconosce troppo poco a chi la violenza la subisce e si accusa in maniera modesta chi la violenza la pratica. Molte le cose rimaste fuori, è un documento con un minimo comune denominatore, ma sembra difficile parlare di Patto di Stato con lettere maiuscole.
I COLLETTIVI FEMMINISTI non sono stati invitati a nessun tavolo durante i sei mesi di elaborazione dell’accordo, pratica di esclusione comune a molti governi in diversi paesi. Parlare di questione di stato non vuol dire solo più o meno soldi, più o meno processi, ma la possibilità di costruire un altro paese con un approccio integrale su tutti i tipi di violenza machista, da quella fisica a quella economica, a quella psicologica. Bisogna considerare il patriarcato nella sua pluralità, non tralasciare le espressioni degli stereotipi sessuali, della sottomissione e dello sfruttamento dei corpi. Occorre riconoscere che c’è un problema che, per essere risolto, richiede un coinvolgimento delle politiche pubbliche nel corso del tempo, nella direzione chiara di finirla con il sessismo imperante della società spagnola. Discussione inutile perché il patto è rimasto in un cassetto, senza nessuna firma, senza un euro di finanziamento dei tanti sbandierati, 212 misure strategiche concordate e nessuna applicata, solo chiacchiere ed esercizi di stile. Mentre la media dei femminicidi cresce: 44 donne uccise per mano di un partner o ex-partner da gennaio all’inizio di novembre. Nell’agenda di governo per questo 25N al palazzo della Moncloa c’è la distribuzione di premi alle buone intenzioni, mentre sono stati tagliati tutti i finanziamenti per l’educazione dei giovani all’uguaglianza. Allora in piazza, vive e ribelli, come dice lo slogan.
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