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«Il suolo è la pancia del vigneto, se non funziona tutto si degrada»

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Slow Wine Fair Intervista ad Adriano Zago, enologo di Cambium: "Funzionano i metodi che si rifanno all’agricoltura biodinamica e biologica e all’agroecologia"

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 22 febbraio 2024

Il suolo è il punto di partenza e anche lo scopo finale del lavoro del viticoltore, che è prima di tutto un agricoltore» attacca Adriano Zago. Agronomo ed enologo formatosi tra le università di Padova e Montpellier, ha vent’anni di esperienza internazionale in consulenza, formazione e crescita aziendale: è fondatore di Cambium, un’azienda che si occupa di supporto professionale alle aziende agricole biodinamiche e biologiche. Con il suo libro Viticoltura biodinamica. La prima guida pratica per applicare il metodo agricolo biodinamico al vigneto è tra i protagonisti della terza edizione di Slow Wine Fair.

Adriano, per quale motivo è fondamentale guardare al suolo prima che al grappolo?
Credo che lo scopo dell’attività agricola abbia un orizzonte temporale che deve guardare oltre la produzione di vino o di un ortaggio. I tempi che un contadino deve tenere a mente sono lunghissimi, perché lavora ora per costruire un suolo che sia stabile per i prossimi decenni, capace cioè di assorbire acqua e di preservare la biodiversità. È un lavoro invisibile, che viene portato avanti a livello microbico, ma è ciò fa funzionare il mondo, sia nelle nostre pance sia nelle vasche in cui l’uva si trasforma in vino. Quindi, il suolo è la pancia del vigneto. Quando non funziona il suolo, quando le pratiche agricole lo degradano, togliendo sostanza organica, questo significa che viene meno anche tutta l’attività sociale che il viticoltore fa (o dovrebbe) per proteggere e conservare quel suolo per i cittadini e per tutti quelli che non sono contadini.

Esistono pratiche o modelli agricoli che hanno compreso la centralità del suolo?
Ci sono dei modelli che hanno messo letteralmente al centro questa funziona vitale, l’hanno individuata come priorità, pre-condizione della produzione. Parlo dei metodi agricoli che fanno riferimento in particolare all’agricoltura biodinamica, all’agricoltura biologica e all’agroecologia. Altri invece insistono nel perseguire logiche di sostenibilità più o meno concreta. Di sicuro, la biodinamica – dati alla mano – sta dimostrato le migliori performance tra le tecniche utilizzate, come ha validato anche uno studio dei ricercatori dell’Istituto Nazionale per la Ricerca Agronomica francese, un lavoro che ha messo in relazione 120 analisi pubblicate su riviste ad alto impatto, evidenziando che la biodinamica ha gli effetti più rilevanti per quanto riguarda la preservazione della biodiversità e la tutela dello strato di suolo. C’è poi anche un altro aspetto, che verifico lavorando in tutta Italia e non solo: tante aziende iconiche, importanti, o i fondi d’investimento, scelgono l’agricoltura biodinamica perché vogliono preservare l’investimento, e quando l’investimento è il suolo questo significa preservare il «capitale naturale» ma anche il capitale monetario. Tanti soggetti che comprano proprietà in Italia, specialmente i più giovani che hanno cumulato ricchezza grazie ai settori dell’alta tecnologia, sono consumatori di prodotti biologici e se comprano terra non usano diserbanti.

Negli ultimi anni l’agricoltura italiana affronta sempre più gli effetti negativi del cambiamento climatico, in particolare quelli collegati alla riduzione della disponibilità d’acqua e al calore: l’agricoltura attenta al suolo offre una possibile risposta?
Per me è la miglior della risposte che possiamo dare. Un suolo con tanta sostanza organica è capace di sequestrare CO2, di trattenere CO2 e di evitare l’erosione del suolo. Inoltre, la gestione dei terreni garantendo maggiore inerbimento e meno lavorazioni profonde abbassa le temperature del suolo. In più, una pianta ben idratata, con le radici che scendono in profondità, è capace di scottarsi di meno, che nel caso del vino significa anche concentrare meno i succhi per continuare a produrre vino con una gradazione accettabile. Non è certo una risposta miracolosa, ma è senz’altro la migliore delle risposte possibili.

Oramai in Italia quasi un quinto della superficie vitata è gestita in regime di agricoltura biologica. Come giudichi questo dato?
Siamo di fronte a un fattore enorme, che sta venendo fuori dal mercato: nel mondo c’è troppo vino, ci sono troppi vigneti e ci sono sempre meno consumatori. Di fronte a questo contesto, assistiamo a una forte polarizzazione. Se da un lato il mondo avrà sempre bisogno di vino industriale, cioè realizzato all’interno di processi ad alta industrializzazione, dall’altro lato cresce una domanda di vino artigianale, che è possibile riempire di contenuti. Questo aspetto rappresenta una spinta che non riguarda solo l’ambito produttivo ma invita a saper valorizzare il prodotto. C’è spazio per un’agricoltura capace di rispettare il suolo, di costruire: la biodinamica porta e non toglie al terreno, è pro-uomo. Credo che i vini si venderanno sempre più per i contenuti che sapranno esprimere: con la tecnica si è diventati sempre più bravi a fare vini buoni, senza difetti, ma questo non basta più. Questo è un enorme stimolo a far ingrandire tutto ciò che è biologico o biodinamico. Stiamo in guardia, allora: la parola sostenibilità diventerà appannaggio del vino industriale, perché è un concetto più scalabile, più misurabile (basta misurarla in CO2 risparmiata…) e appannaggio anche del bio industriale.

Focalizzarsi sul suolo, nel tuo lavoro, significa spostare l’attenzione dal solo vigneto. Perché?
Negli ultimi anni lavoro per portare agricoltura e biodiversità nei vigneti. Credo che un’azienda vitivinicola possa funzionare meglio come sistema polifunzionale solido e questo include anche le relazioni che il contadino costruisce. Organismo agricolo e organismo sociale vivono insieme. Per questo stiamo lavorando molto con i team all’interno di ogni azienda, perché oltre a coltivare bene suolo, vigna, orto, cereali, dobbiamo fare altrettanto anche con le persone, per far funzionare al meglio anche il gruppo di lavoro, all’interno del quale ognuno deve giocare un ruolo fondamentale.

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