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Il sogno americano della giovane Eilis

Il sogno americano della giovane Eilis

Al cinema Presentato al festival di Sundance e poi candidato all'oscar, «Brooklyn» è il racconto di un’immigrata irlandese (Saoirse Ronan) nella New York anni 50

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 24 marzo 2016

Prima che Williamsburg fosse sinonimo della New York hipster per il giovane turismo europeo, che Park Slope diventasse un quartiere di famiglie trentenni fuggite dai micro-condo di Manhattan per spaziare in browstone da milioni di dollari, che la fabbriche di Red Hook venissero invase dalle startup e che i lunghi artigli della gentrificazione arrivassero a sfiorare i confini della decrepita East New York, Brooklyn era il simbolo più riuscito del melting pot newyorkese. Un vasto borough d’immigranti, raccolti in comunità diverse, in cui gli odori, i sapori, gli accenti e i colori dei paesi lasciati indietro, oltre l’oceano su cui si affacciano Brighton Beach e Coney Island, si mischiavano all’energia e alla promessa delle nuova terra, simboleggiata dalle torri di Wall Street, aldilà dell’East River.

Nonostante i toni zucchero-elegiaci, e il gusto calligrafico della mise en scene, Brooklyn (oggi anche il nome di una catena di supermercati salutisti) è meno un omaggio a quel mondo passato che alla sua idea fondante – la storia di una ragazza (Saoirse Ronan) che, dall’Europa, viene in America a cercare una vita migliore e che, così facendo, trova il modo di rimanere se stessa diventando qualcos’altro.

Presentato al Sundance Film Festival del 2015 e poi nominato agli Oscar come miglior film, miglior attrice e miglior sceneggiatura (Nick Hornby, da un romanzo di Colm Toibin) il film è diretto da John Crowely, membro della new wave irlandese che ha penetrato il cinema indie Usa, e di cui fa parte anche Lenny Abrahmson (Room).

Illuminato dal volto, allo stesso tempo aperto ed enigmatico di Ronan, un’attrice capace di comunicare emozioni come per una trasparenza della pelle, e dominato da un’ossessione eccessiva per tutte le possibili sfumature del verde (che strillano Irlanda, anche se l’accento scompare con il doppiaggio), Brooklyn è un piccolo film che acquista una rilevanza involontaria alla luce delle muraglie di confine, dei pattugliamenti dei quartieri musulmani e delle frontiere chiuse che si stagliano all’orizzonte di una vittoria repubblicana alla Casa bianca. La storia di un American dream, titubante.

All’inizio del film, «il sogno» non è nemmeno di Eilis (Ronan), bensì quello di sua sorella che, guadagnati a fatica i soldi per il passaggio nave in una cabina d’infima categoria, la spedisce a cercare una vita meno angusta della sua.

La New York anni cinquanta in cui Eilis approda non è l’inferno che aspetta Marillon Cotillard in The Immigrant, ma un luogo più schietto, aperto, da quello da cui viene, riscaldato dalla benevola severità della direttrice di una pensione per signorine, da un prete e, presto, da un ragazzo Italian-American come gli spaghetti con le polpette al sugo. La tentazione del vecchio mondo è forte (anche lì un amore). A Eilis la scelta.

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