Era venuto in soccorso Lapalisse a mettere in guardia la gente al seguito dal consegnare a Yates il Giro prima di arrivare in fondo. E meno male.

La prima arrampicata di giornata, poco dopo il via da Venaria, è un barometro che già annuncia tempesta tra il sole delle Alpi. Aru, sul quale si appuntavano le speranze italiane, mette subito il piede a terra, che questa non è più la sua guerra, ammesso che mai lo sia stata. Provano dunque, sul Colle de Lys, ad andare via in una ventina. La squadra di Yates è già alla frusta di buon mattino, per rintuzzare questo primo attacco.

Sul Colle delle Finestre, Cima Coppi, si presenta il gruppo compatto. Non viene male, questa situazione, a Froome e alla sua squadra, che può mettere in atto, sulle rampe cattive che subito accolgono i corridori, la tattica che conosce meglio: una lunga fila indiana che tiri il collo al resto della comitiva. Mancano ancora 88 chilometri all’arrivo, che nella rete cade subito il pesce grosso. La maglia rosa si sfila, si capisce subito che non ha neppure voglia di lottare. Naufraga a mezz’ora, colui che finora aveva dominato. Il verdetto: inesperienza. Ha interpretato, il Cavaliere, ogni tappa dannandosi per rosicchiar secondi, ed è arrivato vuoto al momento in cui volano i minuti.

Ma non è ancora sazio, Froome, e ai meno 80 (ottanta!), quando la vegetazione si fa rada e la strada uno sterro tra la neve ed il pantano, piazza uno scatto secco. Dumoulin va su del passo suo. Se controlla la corsa, con Yates fuori dai giochi, il trionfo a Roma è assicurato. Se. Perché scollina a meno di un minuto, ma nelle due vallate tra Finestre e Sestriere, e tra questo e l’arrivo sul Jafferau, alleati l’olandese non ne trova. La battaglia si risolve in un uno contro uno, e l’esito è impietoso. I minuti diventano due, e poi tre, con quello scatenato là davanti e dietro che si fa quel che si può. L’ultima salita si risolve in due agonie parallele che vestono Froome di un rosa antico. Dumoulin lo rincorre a mezzo minuto.

Retroscena. Si dice in giro che Froome abbia rifiutato le pressioni della squadra affinché si ritirasse, dopo le cadute, e preparasse il Tour. E ci mancherebbe, si dirà. Il Giro è il Giro. Si tratta di un rifiuto non scontato. Segno che nonostante negromanti, consiglieri interessati, sponsor e radioline varie che volteggiano sullo sport del pedale, la salvezza forse sta proprio nei pedalatori, e nel loro rispetto per l’epopea della corsa e per le migliaia di persone assiepate a bordo strada.