Editoriale

Il peso sociale e politico del lavoro

Sbilanciamo l'Europa Bisogna ridare prestigio al Parlamento

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 15 maggio 2015

La crisi che investe il nostro mondo non è solo economica. È una crisi epocale che dobbiamo studiare seriamente se vogliamo in qualche modo fronteggiarla. Per la diagnosi, vorrei segnalare un prezioso volumetto di Franco Cassano sul cambiamento del vento della storia, edito da Laterza e, più modestamente, «Una crisi mai vista» pubblicato dalla manifestolibri, a cura di Loche e Parlato, che raccoglie interventi di autorevoli studiosi.

Sull’attuale crisi agiscono fattori strutturali. Innanzitutto la nuova rivoluzione delle macchine come titola il volume di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, pubblicato da Feltrinelli. Ma agiscono anche fattori di geopolitica come la globalizzazione e fattori immediatamente politici, come la crescita di Cina e India e l’euro nella nostra Europa. Queste diverse e rilevanti modificazioni dello stato di cose convergono nel produrre l’attuale crisi mondiale dalla quale non sappiamo ancora se e quando se ne potrà uscire. Nel lontano passato la macchina a vapore portò alla pratica eliminazione dell’uso della forza fisica dei lavoratori dipendenti. Ora i computer e gli altri strumenti digitali stanno sostituendo anche l’impegno mentale dei lavoratori dipendenti.

Morale: si riduce il peso sociale e politico del lavoro dipendente che è stato ed è ancora fondamentale nei rapporti sociali e politici: il futuro prossimo è già pieno di ombre. Ma ai mutamenti nel lavoro si aggiunge la globalizzazione, cioè l’effettiva mondializzazione dei mercati e, innanzitutto, del mercato del lavoro, che riduce seriamente il potere contrattuale dei lavoratori dei paesi sviluppati, che, peraltro viene indebolito dai flussi migratori dal sud al nord del nostro mondo.

E, ancora, per noi europei c’è l’unione monetaria senza unione politica, che riduce il potere dei singoli stati europei privandoli della possibilità di svalutazioni competitive e li obbliga a un pareggio di bilancio che riduce fortemente il potere di intervento pubblico nell’economia.

Si tratta, è la mia tesi, di pericolose riduzioni del potere della politica e pertanto della democrazia: cresce la forza delle cose diminuisce la forza dei cittadini e della politica. E non dimentichiamo che quando parliamo di forza delle cose, in effetti parliamo della forza dei proprietari delle cose.

Gli effetti dell’attuale crisi sono evidenti e sono esaminati in questo speciale: disoccupazione, precariato, bassi salari, pensioni incerte, conti pubblici in difficoltà, debito in aumento. La globalizzazione non è solo la Pirelli che diventa cinese, l’Alitalia mezza araba e la Fiat americana. T

utto questo si accompagna con il progressivo indebolimento dei sindacati e la pratica dissoluzione dei partiti di sinistra che diventano «partiti della nazione» proprio quando la nazione perde peso rispetto ai vincoli europei: come scrive Cassano, il vento della storia soffia solo a favore del capitale, possibilmente straniero. Come contrastare o, almeno, frenare questa deriva antisociale e antidemocratica? Rispondere non è semplice, come conferma il nostro attuale balbettio. Il vento della storia ci è contro.

Ma bisogna studiare e tentare di superare questa crisi, innanzitutto denunziando, in modo convincente, i disastrosi esiti di questa deriva e individuando i punti di scontro. Sarò poco convincente ma penso che si debba partire dalla cultura e anche dalla letteratura: non dimentichiamo come sulla formazione della nostra generazione ha agito la lettura di romanzi e racconti e poi dei saggi di analisi storico-sociale.

E ancora, ma forse per cominciare, bisogna ricostruire la speranza, quella che da giovani avevamo alla fine della seconda guerra mondiale e che i giovani di oggi debbono ritrovare e anche costruire, quindi occorre far rivivere la politica della speranza. La speranza – non dimentichiamolo – per molti di noi nel secondo dopoguerra si trasformò in obiettivo. E contro la linea degli arricchimenti individuali o di gruppo, ridiamo dignità e valore allo Stato, alla nostra repubblica, alla nostra Costituzione.

E penso, anzi ripeto, che nella attuale situazione sarebbe opportuno rimettere in moto l’Iri (Istituto Ricostruzione Industriale) un Iri del tempo della globalizzazione come si è accennato in un recente e molto interessante seminario dei Lincei.

Ma per tutto questo, per ricominciare, bisogna ricostruire la politica, oggi ridotta quasi a zero di fronte al potere privato e clientelare. Bisogna ricostruire i partiti politici, ridare respiro e prestigio al Parlamento.

Insomma bisogna ripulire e rimettere in opera la politica.

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