Il Pepe e il Papa
Intervista Il tupamaro Mujica, ricevuto dai movimenti popolari e dal Vaticano per parlare di uguaglianza, sobrietà e tempo liberato: "Siamo prigionieri di una ragnatela che ti presenta le cose al contrario, dipendenti dal possesso compulsivo di oggetti"
Intervista Il tupamaro Mujica, ricevuto dai movimenti popolari e dal Vaticano per parlare di uguaglianza, sobrietà e tempo liberato: "Siamo prigionieri di una ragnatela che ti presenta le cose al contrario, dipendenti dal possesso compulsivo di oggetti"
Ovazioni da stadio per l’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica. Lo abbiamo constatato in due momenti romani: al III Incontro mondiale dei movimenti popolari, invitati dal papa in Vaticano, e al Palladium di Garbatella, in una conferenza agli studenti organizzata dal vicepresidente della regione Massimiliano Smeriglio (sul nostro sito l’intervista) anche per l’uscita del libro Una pecora nera nel potere, di Andres Danza ed Ernesto Tulbovitz, edito da Lumi.
Un Mujica messianico, «filosofo e politico», ha detto Ignacio Ramonet, riassumendo la biografia dell’ex tupamaro: il profilo coerente di un uomo che ha compiuto un lungo percorso – dalla guerriglia, al carcere, alla politica legale, alla presidenza – sempre restando fedele a se stesso. «E così – ha scherzato il giornalista – adesso abbiamo due papi: il Papa Bergoglio e il … Pepe Mujica».
E anche ieri, durante l’incontro di Bergoglio con i movimenti popolari nell’Aula Paolo VI, quando Mujica è comparso in video, le oltre 3.000 persone presenti hanno applaudito a scena aperta. E poi è arrivato anche il tributo del papa, che lo ha salutato e citato parlando della necessità della grande Politica, della democrazia partecipativa, e dei rischi che rappresenta usare la politica come professione e non come passione: «Chi vuole far soldi con la politica – ha detto – per favore si tenga alla larga… alla larga anche dal seminario…».
Quello della coerenza tra parole e fatti è stata la traccia principale del III Incontro mondiale dei movimenti popolari, e Mujica è intervenuto, appunto, su questo tema e sulla crisi della democrazia rappresentativa, «sequestrata» – dai grandi poteri che la svuotano di contenuti, finendo per usarla a scapito dei settori popolari. E nella Lectio magistralis tenuta agli studenti, con parole semplici e poetiche, in fin dei conti ha nuovamente spiegato i concetti base del marxismo e l’alienazione di un individuo atomizzato e sfruttato, preda delle sirene del consumismo.
Perché si sente vicino al papa Bergoglio, il marxismo deve cedere il passo proprio su Terra, Casa e Lavoro?
Il messaggio del papa è importante anche per un non credente come me, che comunque rispetta profondamente tutte le religioni, il bisogno di trascendenza che proviene, in diverse forme, dall’essere umano, e che oggi viene anestetizzato o pervertito. Parla della solidarietà in un mondo che vuole costruire muri e che dobbiamo ricominciare a praticare: abbiamo già avuto un Hitler e potremmo ritrovarci un Trump, e anche Clinton non è proprio una signora di sinistra. Sono figlio di migranti, mia madre era italiana, ma ora questa Europa si dimentica da dove viene, pensa che si devono costruire i muri, respingere chi arriva alle frontiere. La solidarietà non è un atto benefico, ma capire che se la fatica della donna africana in cerca di acqua, mi riguarda. Oggi, invece siamo prigionieri di una ragnatela che ti presenta le cose al contrario, ti rende dipendente dal possesso compulsivo di oggetti. Bisogna mettere dei limiti, vivere con sobrietà. Non dico con austerità, perché la parola può far pensare all’austerità imposta dal capitalismo, dai piani di aggiustamento strutturali. Dico, però, che tante cose non ci servono, ci serve piuttosto recuperare tempo. La politica è insita nel nostro essere sociali, del vivere in società. E si deve scegliere: per passione, però, non per denaro. Se proprio uno ci tiene ad accumulare denaro, meglio che si dedichi al commercio, agli affari. Chi fa politica deve vivere come vive la maggioranza del popolo. Il papa dice queste cose. Il suo è un messaggio politico. Aiuta a interrogarci sulla globalizzazione, sulla necessità di un cambiamento strutturale, accoglie le ragioni di un’umanità dissidente non inclusa che vuole contare nelle decisioni. Usa la mistica e le risorse della chiesa per diffondere un messaggio universale contro le disuguaglianze, la guerra. Il marxismo, certo. Non posso però dimenticare quel che mi disse una volta un compagno, tornando dai paesi dell’est: hanno lo sguardo spento…
Lei è appena tornato dal Venezuela, un paese che ha messo al centro della costituzione e dei programmi la democrazia partecipata e il potere popolare. Cosa pensa di quel che sta succedendo e del ruolo del Vaticano?
Il Venezuela ha ereditato problemi strutturali, che non dipendono da Maduro né prima dipendevano da Chavez e che non si possono risolvere con la bacchetta magica o in tempi rapidi: la dipendenza da un tipo particolare di «monocultura», il petrolio, l’abbandono di altre forme di produzioneche avrebbero consentito di raggiungere la sovranità alimentare e resistere al ricatto e agli attacchi esterni, che vediamo in tutta l’America latina. Il Venezuela è un grande produttore di rum, ma il primo importatore di wisky… Bisogna tornare alla terra, negoziare alcune risposte economiche con il capitalismo e spingere su altre più innovative. Poi c’è il problema della riforma monetaria. Al popolo venezuelano, un popolo straordinario che sempre è stato capace di trovare una sua strada, va comunque tutta la nostra solidarietà. Il papa ha fatto una buona cosa favorendo il dialogo fra le parti. L’opposizione, anche se avesse un programma, non potrebbe risolvere quei problemi strutturali. E comunque il dialogo serve. Non si può passare il tempo a scontrarsi nelle piazze, bisogna lavorare.
L’Uruguay – lei dice – è un piccolo paese, ma è nei posti piccoli che si può sperimentare. Cosa può servire al mondo di questo vostro esperimento?
Alcune esperienze sociali per evitare che la terra sia preda del mercato. Una cosa intelligente. Un antico Istituto che ha fatto diventare lo Stato il principale proprietario di terre del paese: non perché le coltivi, ma perché le affitta a un prezzo equo. La terra non si vende, ma si dà da lavorare, e non si possono fare transazioni se non pagando una tassa elevata. Quello della terra e di una riforma agraria integrale è un problema generale, soprattutto nel sud: Terra, Casa e Lavoro e democrazia partecipata…
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