«Fortunato chi parla arabo»: così recitava nel 2016 una campagna del Museo Egizio di Torino che suscitò una fervida polemica da parte di FdI. L’ormai noto diverbio tra il direttore dell’Egizio e Giorgia Meloni è diventato nuovamente virale. Ripreso dalle telecamere all’esterno del Palazzo dell’Accademia delle Scienze, ritorna d’attualità a causa degli attacchi rivolti in questi giorni a Greco prima dall’assessore al Welfare della Regione Piemonte Marrone, poi dal vicesegretario della Lega Crippa. L’iniziativa «incriminata» proponeva, per un periodo limitato, due ingressi al costo di uno ai cittadini di lingua araba. Tanto bastò, sette anni fa, a Meloni affinché accusasse il direttore di discriminazione etnica oltre che di privilegi nei confronti della religione musulmana, tanto è bastato ieri a Crippa per definire «ideologica e razzista contro gli italiani» l’attuale gestione del Museo Egizio.

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Ma dietro il becero e reiterato tentativo di infangare la dignità di uno studioso di valore c’è non solo una profonda ignoranza delle politiche di inclusione portate avanti da Greco in linea con i più aggiornati dibattiti internazionali sul tema e con i principi della Convenzione di Faro (soprattutto quelli concernenti le cosiddette comunità d’eredità o comunità patrimoniali) ma anche le velleità del governo Meloni di trasformare i musei italiani in presidi del pensiero di destra. Ideologia nella quale non rientrano, appunto, le decine di migliaia di persone di origine araba che vivono a Torino e nella provincia, tra cui circa 5mila egiziani, verso i quali il direttore del Museo Egizio ha mostrato fin dagli inizi del suo mandato un’attenzione particolare.

L’allestimento inaugurato nel 2014 contempla infatti apparati didattici e didascalie in lingua araba. Sempre nel 2014, undici giovani donne di origine nordafricana sono state formate con un corso finanziato dalla Compagnia di San Paolo (uno dei soci della Fondazione Museo delle Antichità Egizie, ndr) per poter effettuare guide in lingua araba al Museo Egizio. Tutti progetti mirati ad avvicinare la comunità araba – specie i membri di quest’ultima che non hanno agevolmente accesso all’offerta museale – a un patrimonio che le appartiene, in quanto la collezione conservata all’Egizio (la più importante al mondo dopo quella del Cairo) fu portata a Torino in seguito agli scavi di Ernesto Schiaparelli e Giulio Farina nel Paese del Nilo. Un’opera di «restituzione» culturale quella realizzata da Greco, che con le autorità egiziane ha costanti rapporti di collaborazione scientifica. Per ribadire l’importanza della ricerca nonché dello scambio fra popolazioni e fedi diverse nella costruzione di un mondo più tollerante, il direttore del Museo Egizio ha anche voluto dedicare nel 2016 una sala a Giulio Regeni. Si tratta della sezione dedicata al villaggio di Deir el-Medina, dove è esposto – fra gli altri reperti – un papiro che testimonia lo sciopero degli operai al servizio del faraone avvenuto durante il regno di Ramesse III (1187–1157 a.C.). Le ribellioni al potere costituito vengono da lontano e, per fortuna, non si arrestano.