Il Pd in Toscana, due partiti in uno
Effetto Zingaretti Il rinvio della direzione regionale dem, dopo il defenestramento del vicesegretario Fabiani, certifica ancor di più le divisioni interne fra zingarettiani ed ex renziani. Con accuse e controaccuse che stanno facendo implodere il partito.
Effetto Zingaretti Il rinvio della direzione regionale dem, dopo il defenestramento del vicesegretario Fabiani, certifica ancor di più le divisioni interne fra zingarettiani ed ex renziani. Con accuse e controaccuse che stanno facendo implodere il partito.
Meglio rinviare, perché nuove, ulteriori rotture sarebbero esiziali. La direzione regionale del Pd, che avrebbe dovuto riunirsi ieri sera per discutere il rinnovo della segreteria dopo lo strappo di due settimane fa tra gli zingarettiani di “Piazza Grande Toscana” e gli ex renziani rimasti nel partito, è stata rimandata. Troppo rumore ha fatto nel weekend il dibattito organizzato on line dai “Progressisti in cammino”, a cui hanno partecipato fra gli altri Vannino Chiti e Valerio Fabiani, già vicesegretario dem, riferimento degli zingarettiani defenestrato dalla segretaria Simona Bonafè, leopoldina della prima ora. Ma a dar fuoco alle polveri è stato Vincenzo Ceccarelli, capogruppo del Pd in Consiglio regionale, che scusandosi “per lo sfogo” ha detto forte e chiaro quello che tutti gli zingarettiani pensano.
“Se Zingaretti molla ci lascia in braghe di tela – ha attaccato l’ex assessore della giunta di Enrico Rossi – e sarebbe un contributo alla realizzazione del disegno di Renzi di disarticolare il Pd. Loro non vedono l’ora di riprendersi il controllo del partito”. Da Ceccarelli anche un appunto al segretario nazionale dimissionario: “Zingaretti ha sbagliato a fidarsi e a prendere Lotti come politico di riferimento in Toscana. Io glielo dissi, a lui e Oddati: ‘Pensate che facendoli comandare qui in Toscana poi staranno buoni a Roma?’. E stato un errore, io l’avevo detto che da qui sarebbe partito l’attacco alla segreteria nazionale del Pd, perché quello che a loro più interessa sono le postazioni, e il fatto che Zingaretti faccia le liste alle prossime politiche loro non lo possono tollerare”.
I fulmini di Ceccarelli contro Bonafè, contro gli ex renziani in generale e contro la corrente di Base Riformista, che ha in Luca Lotti e Andrea Marcucci i leader, hanno invelenito ancor di più, se possibile, il clima interno al partito toscano. Un Pd che a fatica lo scorso anno aveva varato una segreteria unitaria in vista delle elezioni regionali, poi vinte da Eugenio Giani e con un roboante 35% al partito, che aveva fatto leva sul “voto utile” contro il pericolo leghista. Ora però che le urne sono lontane, e che la pur sempre corposa base dem toscana non può mobilitarsi in una regione in recrudescenza pandemica che balla fra l’arancione e il rosso, con gli ospedali in affanno e le scuole chiuse in una cinquantina di comuni, la “franca discussione” interna resta virtuale. E’ più un’implosione che un’esplosione. Ma sta creando due partiti in uno.
Bonafé e Lotti restano zitti anche se le voci interne del partito li dicono molto arrabbiati. A parlare per loro è l’ex (?) renzianissimo Dario Parrini, un tempo proconsole del caro leader in Toscana e oggi in Base Riformista: “Sono parole che feriscono quelle di Ceccarelli. Non vere, divisive e inutilmente demonizzanti. Al Pd serve altro: dialogo sereno, rispetto reciproco, unità e valorizzazione del pluralismo. Un capogruppo dovrebbe dimostrarsi capace di rappresentare tutto il partito, così Ceccarelli non lo fa”.
Quando però la discussione interna si trasferisce sui territori, piegati dagli effetti collaterali della pandemia, i toni si fanno necessariamente più soft. A Prato ad esempio amministratori e dirigenti, di ogni orientamento, sono concordi sulla necessità che Zingaretti ritiri le proprie dimissioni, e continui a condurre il Pd fino al congresso. Il sindaco Matteo Biffoni, che pure non è definibile zingarettiano, offre questa chiave di lettura: “Per me Zingaretti deve andare avanti. Il malessere che si respira nel Pd non è sulla sua persona ma è più profondo. E’ un segretario eletto e legittimato da un congresso. Il punto vero è capire cos’è il Pd, quali sono i punti di riferimento, i valori prioritari, e come vogliamo incidere per l’Italia. Servono gli stati generali del Pd, prima di pensare al congresso dobbiamo parlare e discutere di chi siamo noi come partito”. Più dura la pisana Alessandra Nardini, assessora regionale e zingarettiana doc: “Spero solo che questo gesto del segretario ci permetta di affrontare finalmente una discussione vera sull’indisponibilità oggettiva di una parte del nostro partito ad abbandonare le rendite di potere correntizie, e a permettere il cambiamento”.
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