Magistrati e giornalisti abbastanza soddisfatti, avvocati penalisti contrariati assai: la nuova legge sulle intercettazioni durante le indagini, annunciata come una rivoluzione, non cambia molto lo status quo. Assai più timida rispetto alle prime ipotesi circolati al ministero della giustizia, ha preso forma ieri in una bozza di decreto delegato (la legge delega è entrata in vigore il 3 agosto dunque il termine di tre mesi per il governo scadeva oggi). Il decreto sarà adesso sottoposto alle commissioni giustizia di camera e senato che devono esprimersi in 45 giorni, scadenza che arriva quasi a coincidere con la fine della legislatura. O addirittura la supera, nel caso in cui il governo non vorrà adattarsi alle indicazioni del parlamento (in quel caso sono previsti altri 10 giorni di esame in commissione).

Proprio a ridosso dello scioglimento delle camera, dunque, arriverà quella riforma delle intercettazioni che tanto ha fatto litigare destra e sinistra nell’ultimo quarto di secolo, quasi esclusivamente in relazione alle intercettazioni di esponenti politici. «Finalmente dopo anni di discussione abbiamo una soluzione a mio avviso giusta ed equilibrata», ha detto il presidente del Consiglio Gentiloni. Mentre il ministro della giustizia Orlando ha assicurato che «il testo non restringe la facoltà dei magistrati e degli investigatori di usare le intercettazioni come strumento di indagine, non interviene sulla libertà di stampa, ma solo sulla procedura attraverso la quale vengono selezionate le intercettazioni».
La distinzione, in realtà presente già nella legge in vigore, è tra intercettazioni irrilevanti per le indagini e intercettazioni rilevanti. La novità è che un primo vaglio del materiale è affidato alla sola polizia giudiziaria, che non potrà più trascrivere nemmeno sommariamente il contenuto delle intercettazioni irrilevanti o che contengono dati personali sensibili. Il pubblico ministero non interviene direttamente in questa fase, se non avendo precedentemente dato istruzioni e direttive perché la polizia giudiziaria possa orientarsi nel caso di contenuto dubbio. Il materiale inutilizzabile è custodito sotto la responsabilità del pm. Nella fase successiva tutte le conversazioni, anche quelle non trascritte, vengono depositate in modo da consentire l’esame dei difensori, che però non potranno fotocopiare il testo delle trascrizioni (potranno copiare l’audio): tutti gli accessi all’archivio del pm saranno registrati. A quel punto pubblica accusa e difesa dovranno trovare un accordo su quale materiale accludere agli atti e quale stralciare come irrilevante; in caso di mancato accordo deciderà un giudice a seguito di una sorta di udienza-filtro. La procedura è più lunga ma nelle intenzioni del governo eviterà la circolazione di intercettazioni irrilevanti.

Ma è caduta la previsione più stringente della prima bozza ministeriale, che vietava di accludere agli atti dell’indagine – tipo i provvedimenti cautelari, strumento classico per veicolare al pubblico le intercettazioni durante la fase delle indagini – il testo integrale dei colloqui, prevedendo la possibilità di fare solo una sintesi.
Per i giornalisti, la Federazione nazionale della stampa ha tenuto a ribadire che «non potrà mai far venir meno il diritto-dovere del giornalista di pubblicare qualsiasi notizia, anche coperta da segreto, che abbia rilevanza per l’opinione pubblica». Il diritto di cronaca è stato previsto (assieme al diritto alla difesa) come eccezione nel caso di un altro divieto contenuto dal decreto e sanzionato con il carcere: quello di registrare e diffondere in maniera fraudolenta una conversazione tra privati. Per l’Unione della camere penali, invece, il nuovo testo «rischia di segnare un arretramento sotto il profilo delle garanzie della difesa perché lascia ampio margine alla interpretazione» della polizia giudiziaria e «non sancisce un divieto assoluto di ascolto delle conversazioni tra assistito e avvocati» per le quali è stato inserito solo un divieto di trascrizione. Per l’Associazione magistrati, infine, «è centrato l’obiettivo di piena tutela della privacy e della riservatezza di chi con le indagini non c’entra nulla». Non piace invece alle toghe che sia stato l’imitato – sostanzialmente ai reati di mafia e terrorismo – l’uso dei trojan, i captatori informatici comandati da remoto che sono in grado di registrare conversazioni ambientali.