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Il neo ministro leghista bocciato in conti pubblici e rispetto dei trattati

Il neo ministro leghista bocciato in conti pubblici e rispetto dei trattati

Arrestiamo umani Se si vuole aumentare fino a 18 mesi la permanenza dei migranti nei centri, la spesa lievita, e i rimpatri sono difficili e molto costosi

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 2 giugno 2018

Le parole del prossimo inquilino del Viminale, pronunciate l’altra sera ad un comizio leghista a Sondrio e ripetute ieri dopo il giuramento al Viminale appaiono, alla prova dei conti, nient’altro che una sparata elettorale. E non va più avanti di così nemmeno il contratto di governo sull’argomento immigrazione, messo sotto la lente dal sito Cronache di ordinario razzismo.

«Il ministro dell’Interno non può tagliare o spostare finanziamenti che fanno riferimento a fondi comunitari europei», fa notare Grazia Naletto, la portavoce della campagna Sbilanciamoci! che da oltre vent’anni analizza le Leggi di bilancio proponendo una controfinanziaria a saldi invariati. La trasparenza dei nostri bilanci non è esaustiva ma nella «Bilancio di fine legislatura» scaricabile sul sito di Sbilanciamoci! si cita una spesa prevista di 5 miliardi e 731.915 euro per il 2018 solo per quanto riguarda l’ospitalità dei circa 160 mila migranti nei Cas, Cara, Cie, Hotspot etc, mentre per una media di 6 mila rimpatri si spende circa 462 milioni di euro.

«Ora – prosegue Naletto – se Salvini intende aumentare da 90 giorni a 18 mesi la permanenza dei migranti nei centri e contemporaneamente aumentare i rimpatri, che sono molto costosi, gli ci vorranno molti più fondi, non di meno». I rimpatri coatti per altro si possono fare solo se l’indentità del migrante viene avvalorata dal paese d’origine e accordi bilaterali esistono solo con Tunisia, Egitto, Sudan, Gambia e Niger. Quanto all’obiettivo dichiarato di creare un centro per indetificazione e espulsione in ogni regione, «non è niente di nuovo ma non ha mai funzionato», ricorda ancora Naletto. Fu l’altro inquilino leghista del Viminale, Roberto Maroni, a porselo per primo nel 2011, poi ripreso dal collega Minniti nel gennaio 2017, ma a tutt’oggi non è così.

In due regioni in particolare – il Veneto del leghista Zaia e la Toscana dell’ex pd Rossi – non esiste nessun centro di questo tipo. E da Firenze Enrico Rossi ieri ha ribadito che intende continuare a difendere un’autonomia toscana della gestione dell’immigrazione invocando, nientemeno, il federalismo.

Anche sindaci leghisti del Veneto e della Lombardia, del resto, – fa notare Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas – che si erano proclamati contro l’accoglienza hanno poi portato avanti progetti Sprar e ci sono «migliaia di operatori che lavorano onestamente in questo settore, non sono tutti di Mafia capitale», fa notare. «Dimezzare le spese per l’ospitalità e l’accoglienza in maniera del tutto casuale è impossibile a meno di non togliere il cibo alle persone o farle dormire per strada», spiega Filippo Miraglia, vice presidente dell’Arci, invitando il ministro a «ponderare meglio le parole» perché «il furore razzista porta a un aumento della spesa pubblica».

Mentre Francesco Petrelli senior advisor di Oxfam Italia sottolinea come l’Italia abbia «impegni da mantenere » per assicurare la protezione internazionale ai rifugiati in base a leggi e convenzioni . «Si possono discutere le politiche europee – dice – ma solo se si sta dentro alle norme europee».

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