Visioni

«Il mio vicino Totoro», scoperte e nostalgie di un mondo ignoto

«Il mio vicino Totoro», scoperte e nostalgie di un mondo ignotoScena da «Il mio vicino Totoro» di Hayao Miyazaki

Cinema Torna nelle sale in versione restaurata il film di Hayao Miyazaki. L'incanto puro dell'infanzia

Pubblicato circa un anno faEdizione del 10 agosto 2023

Era il 1988 quando uscì nelle sale Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki. Dunque sono passati trentacinque anni (cinematografici) da quando il professore universitario Kusakabe e le sue figliolette Satsuke e Mei traslocarono in un villaggio per avvicinarsi alla madre malata e ricoverata in un vicino ospedale. La campagna, i contadini, una nonnina, un ragazzino imbarazzato, un fiume, un pozzo, un casale abbandonato e un po’ cadente che torna a essere abitato, uno splendido albero di canfora, ghiande che cadono misteriosamente dal soffitto, strani animaletti («cosetti neri», «nerini del buio», «corrifuliggine», chi lo sa?) che si fanno appena vedere e che poi scappano via tra le fessure delle pareti, lasciando in dote alle giovani testimoni, mani e piedi neri.

INSOMMA un mondo ignoto pieno di scoperte non terrificanti che sembra costruito apposta per due bambine in cerca di avventure e sorprese. Prima o poi sarà necessario fare i conti con i fantasmi e con le ombre della vita quotidiana, ma la paura per ora è tenuta a distanza. Le ragazzine corrono spensierate, inciampano, si prendono in giro e ridono. E il padre le incoraggia, accogliendo gli strani racconti delle figlie e rilanciando con spiegazioni altrettanto irrazionali, se possibile. D’altro canto, perché impedire visioni fuori norma o negare con cieca ostinazione l’accesso a vie parallele dell’esistenza? E poi ecco che nel paese delle meraviglie, appare Totoro. Un troll? Un animale peloso di cui nessuno era a conoscenza? A prima vista, ha le sembianze di una simpatica creatura a cui piace dormire e, quando apre gli occhi, fare enormi sbadigli. Prende un autobus a forma di gatto che lo trasporta seguendo strade imprevedibili e si mostra interessato alle novità, ad esempio all’uso di un ombrello che non lo riparerà certamente dalla pioggia. Empatia allo stato puro.
Nella storia delle due piccole sorelle il fantastico si mescola al reale

Come per i piccoli «nerini», alla potenziale paura subentra immediatamente il piacere della curiosità. Il fantastico si mescola al reale contaminandolo, rendendolo gioioso. In un contesto nel quale altri elementi potrebbero indurre alla tristezza se non a una vera e propria cupezza. La madre gravemente malata, un padre costretto all’assenza, il lasciare d’improvviso una casa per un’altra. Le preoccupazioni che accompagnano questi eventi dovrebbero indurre a una chiusura, a un senso di perdita imminente e di spaesamento. E invece è come se per un attimo breve o lungo (sta a chi osserva decidere) tutto finisse per rimbalzare nel morbido corpo di Totoro. In questa storia, l’immaginazione vince con ampio margine. Non v’è traccia di distopie, di baratri, di luoghi nei quali scomparire senza scampo. È una specie di ritorno alle origini, all’ingenuità prima che si cali nelle nebbie delle regole.

UNA TENERA malinconia, questo potrebbe essere il punto di vista di un adulto; la tensione per l’inatteso, questa invece la prospettiva di un piccolo spettatore. La linearità de ll mio vicino Totoro è per certi versi ingannevole perché se è vero che le due sorelline giocano e sperimentano nel presente, i sentimenti che le accompagnano sono densi di passato e futuro. La loro vita è rivolta a qualcosa che è sempre già accaduto e che continuamente sta per succedere. E dunque, quello di Miyazaki è un film senza tempo o forse, per paradosso, denso di tempo. Ed è colmo di amicizie, di autentiche solidarietà, di sintonie.

COME SCRITTO in precedenza, Il mio vicino Totoro torna nelle sale. Il film fa parte di una rassegna dedicata a Miyazaki, «Un mondo di sogni animati», iniziata a luglio con Ponyo sulla scogliera, Kiki consegne a domicilio, Il castello nel cielo e che terminerà la prossima settimana con Si alza il vento. In attesa di vedere Kimitachi wa Dō Ikiru ka (How do you live?). Il nuovo misterioso prodotto dello Studio Ghibli e del maestro dell’animazione.
In un’estate con poche anteprime, anche se eclatanti, la scelta di riportare sui grandi schermi alcune opere di Miyazaki pare riuscita. Indagare su noi stessi, sulla fanciullezza, l’età adulta, la malattia, la natura, su come ritrovarsi insieme agli altri, può essere l’antidoto all’ostilità del mondo circostante, al disprezzo per il prossimo, alla sfacciata idea che i pochi debbano avvantaggiarsi sempre e comunque sui molti. Certo è solo un film e alla fermata di un autobus è probabile che non passerà mai un «gattobus», ma perché mai negarsi il desiderio di attenderlo?

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