È molto difficile stabilire se la messa in sicurezza del Rio Merdovine avrebbe evitato o mitigato il disastro di domenica notte a Bardonecchia. Di sicuro il governo Meloni ha deciso poche settimane fa di azzerare nel Pnrr i fondi destinati al contrasto del dissesto idrogeologico con interventi strutturali: 1,287 miliardi (missione 2, componente 4, investimento 2.1) e cioè tutta la parte di prevenzione.

IERI PERFINO LA DEPUTATA di Azione Daniela Ruffino ha accusato il governo: «Gli argini di quel torrente vanno assolutamente rinforzati. A questo servivano le risorse del Pnrr previste nel capitolo sul dissesto idrogeologico e tolte dal governo con una decisione disgraziata. Imputare le conseguenze di ogni evento estremo alla fatalità del caso andava bene fino a qualche tempo fa. Oggi non più: quanto è accaduto a Bardonecchia ricorda a tutti noi che il climate change non è una semplice emergenza, ma un cambiamento profondo che ci obbliga a ripensare l’uso e la tutela dell’ambiente».

Il ministro Pichetto Fratin ha tentato di rispondere: «Sulla base dei dati messi a disposizione dal progetto Rendis (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo, ndr) nel territorio del comune di Bardonecchia risultano realizzati lavori di mitigazione del rischio idrogeologico per oltre 5,5 milioni di euro». Fratin però non specifica quando, rendendo inutile la sua dichiarazione.

Il ministro poi è però costretto ad ammettere: «È tuttavia un territorio con elevata pericolosità ed essendo prevista altra pioggia sarà necessario la messa in allerta della popolazione». La difesa del proprio operato e di quello del governo Meloni risulta infine balbettante: «A chi in queste ore non trova nulla di più utile che una polemica sui fondi Pnrr destinati al dissesto – conclude Pichetto – va ricordato che questi sono stati inseriti nella programmazione dei Fondi Sviluppo e Coesione 2021-27, consentendo così una maggiore agibilità di spesa rispetto alla scadenza delle opere del Piano di ripresa e resilienza fissata per giugno 2026».

In realtà lo stesso Fratin rispondendo il 3 agosto al question time alla Camera aveva dettagliato ulteriormente gli interventi: «L’elenco dei progetti in essere, selezionati con le amministrazioni regionali, risulta pari a 638 interventi per oltre un miliardo di euro» ma non dando alcuna certezza sulla copertura e l’inserimento del cosiddetto «Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici» nei Fondi sviluppo e coesione, citando solo 524 milioni: dunque circa la metà della cifra complessiva.

LA LITANIA DEL GOVERNO, ripetuta stancamente anche dal ministro Fitto, cozza con i fatti e provoca la rabbia dei sindaci.
Ieri l’Anci ha incontrato il ministro Piantedosi anche su questo tema. Fra i 16 miliardi di tagli al Pnrr – in gran parte regalati a Eni, Enel e Snam nel capitolo RePower Eu – ci sono moltissimi progetti che riguardano in parte il dissesto idrogeologico all’interno dei Piani urbani integrati (Pui): «tombini per far defluire le acque», «ripristino di strade dopo un alluvione», sintetizza il presidente e sindaco di Bari Antonio Decaro.

Il sindaco di Bari e presidente dell’Anci Antonio Decaro

IN MATTINATA DECARO e molti sindaci metropolitani hanno incontrato il ministro degli Interni Piantedosi per chiedere di ripristinare i fondi nel Pnrr.

«Sono stati definanziati i Piani urbani integrati (i cosiddetti Pui): progetti e opere per 2,6 miliardi che sono dei Comuni e che sono per oltre il 94% già aggiudicate». «Usciamo dall’incontro con un impegno sulle risorse sostitutive ma anche con una domanda alla quale non abbiamo ricevuto alcuna risposta chiarisce Decaro – : perché dobbiamo mettere a rischio interventi così importanti per le nostre città con un cambio immotivato della fonte di finanziamento?», sostiene il numero uno dell’Anci segnalando a Piantedosi «il rischio grave di suscitare un clima di sfiducia dei cittadini».

La perdita di coperture costringerà i Comuni a pagare con proprie risorse le opere, rischiando il default o dovendo rinunciare. I sindaci si dicono preoccupati anche perché non è stata accolta la loro proposta di «esaminare caso per caso quali opere siano eventualmente a rischio di bocciatura da parte della Commissione Europea».

INTANTO IL MINISTERO dell’Economia ha comunicato di aver assegnato definitivamente 2,4 miliardi del Pnrr al Fondo opere indifferibili alle opere pubbliche delle stazioni appaltanti che hanno avviato le procedure di affidamento nel periodo dal primo gennaio al 30 giugno 2023 «per fronteggiare l’aumento dei prezzi dei materiali e il caro energia». Insomma: per il cemento i soldi si trovano, per salvare l’ambiente e le città no.