Si fa presto a dire decreto Lavoro. Giorgia Meloni lo ha annunciato per il primo maggio come personale festa del lavoro. La mossa propagandistica potrebbe aver avuto qualche effetto ma, a parte lo scontato piccolo e ulteriore taglio del cuneo fiscale sui redditi dei lavoratori dipendenti da poche decine di euro, la quadra sull’argomento più scottante – come cancellare il Reddito di cittadinanza – non si trova e il ritardo in vista del primo luglio inizia a diventare imbarazzante.

SE LO SCOOP DI UN MESE FA del Corriere della Sera ha portato a modificare e triplicare l’acronimo da Mia – Misura di inclusione attiva – a Gil (Garanzia per l’inclusione lavorativa), Gal (Garanzia per l’attivazione lavorativa) e la Pal (Prestazione di accompagnamento al lavoro che entrerà in vigore in via transitoria da agosto), lo schema e gli obiettivi sono rimasti gli stessi: risparmiare il più possibile e punire i poveri.

La Gil sarebbe rivolta ai nuclei poveri (con un Isee inferiore a 7.200 euro anziché gli attuali 9.360) con almeno un minore, un over-60, un invalido civile o un disabile. La Gal sarebbe rivolta ai nuclei ancora più poveri (con un Isee sotto i 6 mila euro) composti esclusivamente da adulti con meno di 60 anni senza disabilità o invalidità civile.

LA DIVISIONE FRA LE DUE MISURE non riguarda però il fatto che tutti i componenti del nucleo familiare (non anziani o disabili o senza carichi di cura specifici) saranno avviati verso percorsi di attivazione lavorativa.

Uno schema darà all’Italia un nuovo non invidiabile primato. «In tutti i paesi europei le misure di contrasto alla povertà sono ricevute dalle famiglie fintanto che persiste la condizione di povertà economica. Non sarebbe così nello schema del governo: la Gal dura al massimo 12 mesi, senza possibilità di presentare nuovamente domanda, anche se i beneficiari hanno rispettato tutti gli impegni di attivazione e sono disponibili al lavoro. L’Italia, dunque, diventerebbe l’unico paese europeo a togliere un sostegno pubblico continuativo ad alcuni gruppi di persone in stato di povertà, un aspetto in contraddizione con la recente raccomandazione del Consiglio europeo», denunciano su lavoce.info gli economisti Massimo Baldino e Daniele Pacifico.

L’ALTRA MISURA CERTA del decreto è il riallargamento della causali sui contratti a termine rispetto al decreto Dignità. Fino a 12 mesi i datori possono continuare a stipulare contratti a tempo determinato “liberi”, cioè senza indicare le ragioni giustificatrice del ricorso al rapporto temporaneo. Per salire da 12 a 24 mesi si devono invece indicare le causali. Che con la bozza di decreto Lavoro diventano tre: specifiche esigenze previste dai contratti collettivi; specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti in assenza di previsioni contrattuali, previa certificazione delle stesse presso una commissione di certificazione; oppure esigenze di sostituzione di altri lavoratori. Si tratta di una versione molto moderata rispetto alla precedente e già criticata dai consulenti del lavoro «perché dà ampio rinvio alla contrattazione collettiva.

Ma l’impianto del decreto trova critiche ancora più forti da parte sindacale: «Per sei mesi di lavoro si sono dimenticati, ora fanno il decreto il primo maggio dicendo che vogliono dire a chi va in piazza che loro si occupano di lavoro – attacca il segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri – . Si tratta di propaganda da metaverso perché vive in un mondo non reale dicendo che vuole dare una mano ai lavoratori. Io direi a chi fa queste affermazioni: spiegate ai lavoratori e ai giovani che verranno in piazza che voi permettete ancora di utilizzare i contratti a tempo determinato per tre anni, permettete di precarizzare ancora di più il lavoro. In più il governo sta comunicando urbi et orbi che aumenterà di 15 euro lorde in busta paga per sei mesi. Noi – conclude Bombardieri – avevamo chiesto di intervenire favorendo il rinnovo dei contratti. Si può fare detassando gli aumenti contrattuali. Si parla di una riforma fiscale, nella riforma fiscale non si parla più di evasione, si parla di rivedere le aliquote Irpef e non si dà la possibilità a chi deve rinnovare il contratto di rinnovarlo», conclude Bombardieri, ricordando che sono 7 milioni i lavoratori con contratto scaduto.