Visioni

Il giorno in cui il pop trovò la memoria: Madonna e il Celebration Tour

Il giorno in cui il pop trovò la memoria: Madonna e il Celebration TourMadonna nel «Celebration tour» – foto Getty Images

Musica La cantante a Milano tra grandeur e intimità, un live che ricostruisce la carriera della diva dal ’78 a oggi. 35 brani in scaletta, più di 300 mq di ledwall, il palco come le vie di Manhattan

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 25 novembre 2023

La notizia che il Guinness World Record l’ha nuovamente certificata come la donna che ha venduto più album nella storia dell’industria discografica è arrivata a neanche dieci giorni dall’inizio del Celebration Tour di Madonna. Se sposiamo la performatività esasperata attraverso la quale i media statunitensi raccontano il mondo dell’entertainment, la notizia ha un senso e ci porta indietro a valutare Madonna sulla base delle vendite iperboliche, dei trend di moda anticipati, del gigantismo dei tour, delle controversie, ovvero sulla base di uno storytelling che la accompagna dagli anni Ottanta e che ha fatto il suo tempo.

IL PROBLEMA ora non è il successo, ma l’età, anzi l’invecchiamento, perché su di lei più che su ogni suo collega ancora vivo della stessa generazione pesa la maledizione del pop, che tra tutti i linguaggi dello spettacolo è quello per definizione prodotto e fruito come cornice della giovinezza immutabile del contemporaneo, dell’eternità senza tempo dei divi, sottratti all’invecchiamento offrendo come feticcio la loro immagine giovane ai fan, che vi si identificano esorcizzando il loro invecchiamento e, udite udite, la paura della morte, il grande rimosso di ogni linguaggio popolare.

Se il pop è una potente pozione magica, per i divi che, invecchiando, osano continuare a distillarla, si trasforma in veleno e induce i fan loro coetanei a dileggiarli con la stessa costanza compulsiva con cui in passato li hanno elogiati. Con la sua capacità rabdomantica di tradurre la complessità della cultura occidentale in armonie semplici e messaggi iconici, ultima discendente di una genealogia che la unisce a numi tutelari del pop come Frida Kahlo, Andy Warhol, Elisabeth Taylor e David Bowie, Madonna sembra avere elaborato l’assillo del tempo che passa, tra incidenti, problemi di salute e interventi estetici, riuscendo a distillare la sua nuova consapevolezza con due gesti di riappropriazione di sé e della sua storia, che, come ogni gesto della sua carriera, ridefiniscono il concetto stesso di pop: la maxi compilation Finally Enough Love (2022) e il Celebration Tour iniziato a metà ottobre 2023 a Londra e arrivato a Milano il 23 novembre.

«Finalmente abbastanza amore», recita il titolo dell’ultima fatica discografica di Madonna, prendendo ispirazione dalla canzone I Don’t Search I Find (2019), in cui si dice: «Viviamo tra la vita e la morte / In attesa di andare avanti / Stringiamo la mano al nostro destino / E passiamo oltre». È cessata la ricerca spasmodica di consenso e corone, la regina non deve più combattere le insidie al trono delle principesse del pop, quasi tutte in declino (Britney Spears, Cristina Aguileira) o in crisi di identità permanente (Lady Gaga); sono cessate le competizioni a suon di vendite e dissing per non cedere il titolo nel presente e proteggerlo per il futuro, lasciando il campo a una rievocazione gioiosa del passato e a una convivenza pacifica tra generazioni della musica che si riconoscono reciprocamente (si pensi alle collaborazioni con Beyonce, Taylor Swift, Dua Lipa, Anitta): «finalmente abbastanza amore».

CELEBRATION è un concept tour che allo stesso tempo ricostruisce e festeggia quel passato, raccontando la storia della diva dagli inizi underground alla gloria, tra gioie e dolori, pubblico e privato, come avrebbe dovuto fare il biopic mai prodotto dalla Warner. Un palco che ricostruisce il dedalo di vie di Manhattan, dove Madonna è arrivata nel 1978 in cerca di fortuna, citazioni dalle scenografie dei suoi video più iconici (la torta nuziale dell’esibizione live di Like a Virgin nel 1984 su MTV, il cubo psicoanalitico di Bedtime Story, la disco ball di Hung Up ecc.), un portale sospeso nel vuoto con il quale la cantante attraversa tutto lo spazio dell’arena, più di 300 mq di ledwall, un light design ipnotico, decine di costumi di scena storici ridisegnati per l’occasione, un corpo di ballo infaticabile, 35 brani in scaletta, molti dei quali mashup o contenenti altri brani come easter eggs: la grandeur è assicurata. Ma, insieme alla chicca della competizione di vougueing che ricorda le storiche ballroom della comunità Lgbtq statunitense, le vere perle dello show sono i momenti più intimi: Live to Tell con i ledwall che si riempiono dei volti di migliaia di giovani artisti falcidiati dall’Aids negli anni Ottanta; Bad Girl, mai apparsa nelle setlist dei tour precedenti, in cui la voce e il corpo della diva vibrano di una sensualità mai venuta meno; I Will Survive, in cui la recente esperienza del pericolo di morte si distilla in un momento di voce sola e chitarra in cui, spogliatasi di tutta la tecnologia che la avvolge e la fa brillare durante il concerto, Madonna splende di luce propria, disarmata, imperfetta, felice: «finalmente abbastanza amore».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento