Forse è meglio vedersi e fissare regole per la competizione interna nella campagna per le europee prima che la sfida danneggi tutti. Più o meno questo deve essere stato il pensiero che ha spinto Giorgia Meloni a immaginare un incontro a due con Matteo Salvini, senza il terzo socio Antonio Tajani. L’incontro probabilmente ci sarà davvero, in data da destinarsi, comunque a breve. Domenica sera, mentre ancora rimbombavano sulle agenzie di stampa le sparate antieuropee del vicepremier leghista dalla sagra sovranista di Firenze, la premier ci aveva provato a suggerire cautela e misura al rumoroso alleato. Aveva fatto filtrare il suo sconcerto. Aveva messaggiato il reprobo, come anche Tajani, solo per sentirsi rispondere che, tra un attacco e l’altro contro l’Europa «occupata da abusivi», lui aveva anche assicurato che «con Giorgia e Antonio lavoro benissimo».

IERI PERÒ IL LEGHISTA è tornato alla carica, prendendo di mira proprio una delle principali alleate di Meloni in Europa, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, con la presidente Ursula von der Leyen vera sponda della premier italiana nel Ppe: «C’è chi propone l’inciucio con le sinistre che ha portato l’Europa ai problemi di oggi e chi pensa a un futuro di benessere». La frecciata prende di mira Metsola per colpire Meloni. Non solo per la sua vicinanza con la presidente dell’Europarlamento, che proprio domani sarà a palazzo Chigi. Soprattutto perché è lei, la leader di FdI, quella a cui sarebbero rivolte le profferte di «inciucio», al secolo l’ingresso in una maggioranza Ursula allargata, se ce ne sarà bisogno, dopo le elezioni europee.

IL PROBLEMA, per Meloni, non è solo una maggioranza che in Italia si dichiara unita e in Europa non solo si divide ma mena botte da orbi come quelle vibrate domenica a Firenze. Quello, ancora ancora, si potrebbe accettare: le campagne elettorali sono fatte di toni molto sopra le righe. Non è neppure il rischio che Salvini scippi un paio di punti percentuali, presentandosi come baluardo delle posizioni che la stessa Giorgia Meloni proclamava prima di insediarsi a palazzo Chigi e poi ha abbandonato. Il vero punto critico è quello che sottolinea in una nota anonima, ma chiaramente ispirata dalla premier, FdI: «Siamo certi che la Lega conosca il limite tra i toni da campagna elettorale e la necessità di non compromettere la credibilità e gli interessi italiani». Tra giovedì sera e venerdì Ecofin dovrà prendere una decisione quasi finale sul nuovo Patto di Stabilità: poi sarà solo questione di ritocchi. Le intemperanze del vicepremier e leader del secondo partito di maggioranza non creano solo imbarazzo: indeboliscono l’Italia al tavolo delle trattative nel momento più delicato.

TUTTO IL RESTO È MESSA in scena elettorale. Salvini, dal palco fiorentino, si è rivolto direttamente a Forza Italia e al suo leader, ha detto che «Tajani sbaglia a dire che non si alleerà mai con la AfD tedesca e con Marine Le Pen». Non è la prima volta che lo afferma e va da sé che non ha alcuna speranza di vedere accolta la sua richiesta di riproporre a livello europeo la stessa coalizione che governa l’Italia. La replica di Fi infatti è tassativa. Il capogruppo Paolo Barelli cestina senza esitare la proposta, già bocciata per l’ennesima volta da Tajani: «A Salvini piacerebbe che la sua visione del centrodestra europeo potesse funzionare. Ma il Ppe non è d’accordo. In Italia non ci sono problemi ma quel disegno in Europa è poco plausibile». La sentenza del partito azzurro era stata anche più drastica: «Noi siamo europeisti e atlantisti. Non condividiamo assolutamente un futuro con chi non vuole l’Europa e la moneta unica».

Quello tra la Lega e Forza Italia, però, è un gioco delle parti. Entrambi sono ben lieti di una disfida che permette all’uno e all’altro di ribadire la propria posizione agli occhi di elettorati molto diversi, sovranisti gli uni, europeisti gli altri. Il problema è tutto di chi sta in mezzo e guida il governo. Di Giorgia Meloni.