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Il federalismo fiscale non trainerà nessuna crescita

Secessione Il fisco senza politica economica è un non senso economico, almeno sul piano normativo. Il fisco governa una parte della politica economica coniugando domanda e offerta. Quello che per alcuni […]

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 1 marzo 2019

Il fisco senza politica economica è un non senso economico, almeno sul piano normativo. Il fisco governa una parte della politica economica coniugando domanda e offerta. Quello che per alcuni è sottrazione di reddito è, in realtà, domanda per altri; domanda necessaria che diversamente dovrebbe essere sostituita con altre poste. L’idea che sottende il federalismo differenziato del Nord è quella di compensare questa domanda calante del Mezzogiorno, in ragione del federalismo differenziato, con il rafforzamento della domanda estera, supponendo che le maggiori risorse disponibili possano migliorare la competitività.

Restando al caso della Lombardia posso ben sostenere che questa regione da tempo manifesta una crescita del Pil più bassa della media europea e un saldo commerciale negativo. Inoltre, la dinamica competitiva internazionale suggerisce di trovare degli equilibri sovranazionali se non si hanno dimensioni di scala adeguate. La stessa Germania, per quanto grande si possa sentire, è un nano rispetto agli Stati Uniti o alla Cina; se continua nella sua policy soccomberà, schiacciata da due giganti. Se la Lombardia o il Veneto e financo l’Emilia Romagna pensano di trovare una occasione di crescita nel federalismo differenziato vuol dire che la loro classe dirigente è interamente avulsa dalle dinamiche economiche internazionali. Indiscutibilmente il fisco attraversa una crisi di struttura enorme.

Troppe aspettative di crescita dalla riduzione del prelievo fiscale. Alla fine l’Irpef non è più l’Irpef, così come le imposte sui capitali non sono più le imposte sui capitali. Siamo all’inizio di una stagione economica che necessita di nuovi presupposti di imposta (ambiente, reddito, salario, profitto e rendita, brevetti, ecc.) per riconsegnare al fisco il compito (parziale) di governo dell’economia. La prima critica rispetto al federalismo fiscale è proprio quella di disconoscere il problema della domanda e, peggio ancora, di pensare che questa possa essere sostituita con una domanda proveniente dall’estero.

Inoltre, si parla di federalismo differenziato come se fosse possibile sganciare l’erario dalla spesa. La spesa è parte del fisco, come dimostra il flusso degli interessi passivi del debito che, guarda caso, è indirizzato verso alcune categorie sociali e regioni economiche. È un modo per ricordare che macroeconomia, spesa pubblica e fisco continuano a lavorare assieme e non potrebbe essere diversamente. Possiamo anche immaginare che il trasferimento avvenga a parità di saldo finanziario, ma l’esito sarà quello di creare una bad company (lo stato) e una good company (le regioni). Se è già difficile finanziare il nostro debito in questa situazione, immaginate la sua ricomposizione territoriale. Non ha importanza se il servizio del debito è garantito da tutti legalmente; la realtà sarà quella di un debito frazionato tra regioni; il creditore con fatica accetterà questa condizione. In altri termini, la bad company salterebbe trascinando con sé anche la good company.

C’è poi la questione dei contributi previdenziali. La storia economica di questo Paese è Storia: i “terroni” sono l’altra faccia della medaglia del reddito pregresso di Piemonte, Lombardia, Veneto e Liguria. Infatti, i flussi finanziari in uscita (previdenza, cassa integrazione) di queste regioni sono maggiori dei flussi in entrata (contributi dei lavoratori). Si potevano fare politiche diverse durante gli anni sessanta e settanta, ma il modello “Olivetti” aveva pochi interlocutori nella politica, così come nel sistema confindustriale.

Più che di secessione dei ricchi, è il caso di parlare di sconfitta della ragione economica e della politica economica. Per essere più precisi: non ci sarà nessuno più ricco, piuttosto un indebolimento del paese rispetto all’Europa. In realtà dovremo discutere di giustizia fiscale e di politica economica, nella consapevolezza che c’è anche l’Europa in campo, con un sistema fiscale di area euro che permette l’esistenza di almeno 4 paradisi fiscali. La sfida che dobbiamo affrontare è ben più grande delle vuote e inconsapevoli posizioni politiche sul federalismo fiscale; l’importante è avere piena consapevolezza della sfida che attraversiamo, cioè quella della politica economica nel senso normativo del tema.

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