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Milano, assemblea per l’8 marzo, c’è uno sciopero da preparare

Milano, assemblea per l’8 marzo, c’è uno sciopero da preparare

Milano Da Macao si leva il no alle strumentalizzazioni della morsa xenofoba che si camuffa in vendetta per la morte efferata di una giovane donna

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 4 febbraio 2018
Alessandra PigliaruINVIATA A MILANO

«Scusate se mi commuovo ma questa politica passa per la vita, per la mia». L’applauso abbraccia una delle compagne che, insieme a molte altre, ha raccontato il percorso territoriale di Non Una Di Meno all’assemblea nazionale di Milano in preparazione dell’8 marzo.

Ieri a Macao molto è stato il fervore di una domanda di politica; e non solo per la campagna «Rigeneriamoci liberamente» – contro la patologizzazione della sessualità – bensì per ciò che è una delle partite, già vinte l’anno scorso, che prevede anche nel 2018 un’ampia mobilitazione.

Chi arriva al tavolo, sistemato nel cortile interno dello stabile milanese di viale Molise, è animata da intenzioni ragguardevoli, c’è il discorso sulla sessualità su cui quasi tutte puntano riguardo corpi e desideri – gli stessi che l’anno scorso sono scesi nelle piazze plurali organizzate da Non Una Di Meno.

A guardare le tante ragazze, donne e uomini, anche giovani, che in silenzio ascoltano gli interventi, sembra vi sia speranza di resistenza.

Da Catania a Bologna, da Roma a Trieste e Torino, sono state diverse e numerose le città che si sono fatte avanti e che dall’anno scorso hanno gemmato il progetto nazionale di Non Una Di Meno – nato già globale per il sostegno alle donne che nel resto del mondo avevano già messo in atto le manifestazioni contro la violenza maschile sulle donne.

Quel punto esperienziale non va perduto, pena il mostrarsi astratte, perché concerne proprio i percorsi di libertà che le donne mettono in atto per fuoriuscire dalla violenza, anzitutto prendendo parola per raccontarla; decisiva, dentro Non Una Di Meno, è infatti la presenza dei centri antiviolenza che fanno parte della rete DiRe e che – al principio del progetto insieme a Udi – hanno dato una misura precisa anche a ciò che è diventato l’importante documento del primo «piano antiviolenza femminista».

Su questo passo è da leggere il riferimento, che non poteva mancare anche a Milano ieri, sul significato del #metoo che diviene, così hanno segnalato le organizzatrici dell’assemblea – un #wetogether.

Sono le stesse donne che hanno subito violenze e molestie a essere soggetti di enunciazione per porsi sulla scena pubblica partendo da sé e da ciò che è loro capitato. L’esigenza, espressa in particolare da Nudm Roma, è di interrogarsi intorno al tema delle molestie sul lavoro, sui corpi e sui luoghi delle donne a rischio di sfratto.

Più in generale, la battaglia si fa per tutti i viventi – ecco perché alcune riferiscono di antispecismo -, che non può che essere antifascista e antirazzista – qui il riferimento è ai fatti di Macerata, solo per citare l’ultimo esempio. La fermezza è nell’asserire che niente passa sui nostri corpi, retoriche securitarie comprese, niente può essere concesso alla becera strumentalizzazione della morsa xenofoba che si camuffa addirittura in una vendetta per la morte efferata di una giovane donna.

C’è insomma uno sciopero da preparare. Sindacati di cui parlare. Temi da affrontare e gruppi da coordinare.

Che l’8 marzo non sia una giornata celebrativa è un dato ormai acquisito.

Che l’impegno consista invece in una lotta capace di disarmare gli attacchi alla libertà femminile è il passo successivo. Case delle differenze, alleanze con altre, in particolare con le curde che, presenti ieri, hanno raccontato brevemente i pericoli dello «sdoganamento» di Erdogan, presto in Italia per una visita al Papa. La risposta è che «i popoli in rivolta scrivono la storia, le donne curde fino alla vittoria».

La difficoltà quest’anno è dettata anche dalla data delle elezioni politiche, a ridosso dell’8 marzo. «Se c’è un problema di franchigia elettorale che ci assale in questo momento – dicono – possiamo comunque tenerci stretta la forma stessa dello sciopero come strumento di lotta, utile alle lavoratrici e per la denuncia delle strette maglie in cui spesso si è costrette a operare. Spesso alcune non possono scioperare, per necessità e condizione, dai propri lavori di cura, si devono dunque trovare e inventare forme di condivisione».

Inoltre, sono solo Usb e Cobas i sindacati che hanno mostrato interesse e aderito, notizie tiepide dagli altri ma del resto poco si può fare – sia per la franchigia e sia per la difficoltà di alcune categorie lavorative, per esempio quelle del pubblico impiego.

Sarebbe bastato guardarla dall’alto, quella sala affollata di guanti di lana copricapo talvolta rimediati da maglioni, cappotti e giacche affastellate. Nell’immobilità di un’attenzione che si dedica a qualcosa di importante, come se ne andasse della propria vita. L’8 marzo e tutti gli altri giorni.

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