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Il discorso di Laura Boldrini per Inquantodonna: perché gli uomini non si sentono coinvolti?

Il discorso di Laura Boldrini per Inquantodonna: perché gli uomini non si sentono coinvolti?25 novembre 2017, Camera dei Deputati - #InQuantoDonna, evento in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza di genere – Roberto Monaldo / LaPresse

Buongiorno a tutte. È davvero bellissimo, è bellissimo vedere un’aula così, per me è una grandissima emozione. È bello che siamo tantissime oggi qui in quest’Aula. Vorrei partire proprio da […]

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 26 novembre 2017

Buongiorno a tutte.

È davvero bellissimo, è bellissimo vedere un’aula così, per me è una grandissima emozione. È bello che siamo tantissime oggi qui in quest’Aula.

Vorrei partire proprio da qui, da questo numero, perché siamo qui ma altre sono anche in altre sale di Montecitorio. Vorrei partire proprio da questa presenza numerosa. Io vi ringrazio sentitamente, ringrazio tutte, tutte voi che siete qui.

Ringrazio anche la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, per essere qui. Grazie, Maria Elena.

Fin dai primi incontri che abbiamo fatto per la preparazione di questo evento, che come sapete bene è in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, abbiamo capito che ci sarebbe stato il problema di accogliere tutte le richieste che stavano giungendo, tantissime richieste da tutta Italia. E’ veramente una cosa inaspettata. E per questo io ringrazio, perché è il lavoro di tutti e di tutte.

Ringrazio i centri antiviolenza, ringrazio i sindacati, ringrazio tutte le associazioni, nessuna esclusa, che hanno creduto nell’importanza di questa iniziativa e hanno collaborato con noi. Tutte volevano essere in Aula, ma se non c’è spazio per tutte come si fa? Bisogna collaborare.

E dunque ringrazio le donne che hanno deciso di dare spazio ad altre donne perché questa è la chiave: sapere fare un passo indietro per altre donne. Ed è quello che oggi noi abbiamo fatto.

Care amiche, noi abbiamo superato le 1400 adesioni! Non era mai accaduto che la Camera ospitasse un evento di tale portata, mai nella storia della Repubblica!

Certo, i detrattori ci sono sempre, dicono “E’ un’iniziativa simbolica”. Certo, è vero, è un’iniziativa simbolica: ma è l’iniziativa con il più forte significato simbolico che si potesse organizzare per un avvenimento come questo. Non ce n’è un’altra, è la più forte e l’abbiamo voluta.

Una presenza così imponente, qui a Montecitorio, ha un senso che non può sfuggire a nessuno: le donne italiane hanno bisogno di attenzione. Le donne italiane hanno bisogno di ascolto. Per raccontare la violenza subita, certo, ma anche per raccontare le storie di riscatto. Per mostrare la loro forza, perché ci vuole coraggio e voi il coraggio ce l’avete e siete qui oggi per dirlo al Paese!

E allora mettiamo a fuoco di che cosa stiamo parlando – magari chi ci segue da casa non lo sa pienamente, mettiamolo a fuoco: la metà delle donne che vengono uccise sul pianeta sono uccise per femminicidio. Sono uccise, cioè, in quanto donne e per mano di chi dovrebbe amarle. La metà delle donne.

Ma voi vi rendete conto di che cosa stiamo parlando? Che cosa succede in Italia? In Italia ne viene uccisa una ogni due giorni e mezzo. Lo dice l’Istat. Ed è un dato spaventoso, assolutamente spaventoso.

Ogni due giorni e mezzo una nostra concittadina viene uccisa per mano di chi dovrebbe amarla. Ma sbaglia chi pensa che la violenza sia una questione che riguarda esclusivamente le donne. No, no, no, riguarda il Paese e sfregia tutta la nostra comunità. Questo fa la violenza: non è una questione di donne, è una questione che riguarda tutto il Paese.

Quindi, se su questo tema vogliamo fare sul serio, non può esserci solo la risposta delle vittime o delle altre donne, come in gran parte invece avviene ora: sono quasi sempre le donne a mobilitarsi, a reagire, a ribellarsi. Sempre e solo loro.

Del resto, purtroppo, anche quando si parla della necessità di rilanciare l’occupazione femminile, di cui l’Italia è fanalino di coda in Europa, ebbene, si sente ripetere che è «roba da donne». E anche quando si affronta un problema legato alle storture del nostro welfare si sente commentare che «è roba da donne…».

No, non è solo «roba da donne». È roba di tutti, che riguarda il presente e il futuro del nostro Paese.

È come se, di fronte a un atto di antisemitismo, fossero solo le comunità ebraiche a sentirsi chiamate in causa e a condannarlo, anziché l’intera società.

O come se, di fronte a un atto di razzismo, reagissero soltanto quelli che ne vengono colpiti direttamente e non tutti gli altri. Ma vi rendete conto dell’incongruenza di tutto questo?

[do action=”citazione”]Perché gli uomini che invece vogliono bene alle donne – e ce ne sono tanti – e le rispettano rimangono a guardare? Perché?[/do]

Non vi sembra anche questa un’incoerenza, che la gran parte degli uomini non si senta coinvolta in questa battaglia, gli uomini che rifiutano la violenza? Non dovrebbero essere con noi?

Spiace dirlo, specialmente in questa Aula, ma a questo silenzio, a questa incoerenza, non sfugge nemmeno il mondo politico e istituzionale, con qualche positiva eccezione.

Colgo l’occasione per dire un «grazie» sincero al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha definito la violenza contro le donne con parole fermissime: «una ferita a tutta la società». E il Presidente ci farà l’onore, nel pomeriggio, di ricevere una nostra delegazione al Quirinale. Grazie, Presidente Mattarella, per stare accanto a noi.

La prima volta che ho preso la parola in quest’Aula era il 16 marzo del 2013. Un’emozione incredibile, potete immaginare. Ero stata appena eletta Presidente, ero qui per il mio discorso di insediamento. E ho voluto inserire già quel giorno, fra i temi che ritenevo prioritari per questo Paese e per questo Parlamento, quello della violenza sulle donne. «La violenza travestita da amore», la definii. Ed è quello di cui continuiamo a occuparci: «la violenza travestita da amore».

Quel discorso per me è stato un viatico che ho messo in atto in tutte le mie azioni, sia politiche che istituzionali. Quindi potete immaginare quanto è stato bello ratificare la Convenzione di Istanbul come primo atto di questa legislatura.

E’ stata una gioia per me, come per tante deputate, che vedo e che ringrazio di essere qui, perché abbiamo lavorato insieme anche in un Intergruppo che ci ha viste insieme, donne di diverse opinioni politiche, di diversi partiti, per cercare di migliorare la condizione della donna.

Una Convenzione, dicevo, che è una pietra miliare nella lotta contro la violenza di genere perché afferma un principio chiave, lo definirei rivoluzionario: la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. Vi rendete conto del salto che abbiamo fatto? Non è una cosa che si risolve in casa, in silenzio: è una violazione dei diritti umani, non faccenda privata.

È una questione su cui tutti e tutte dobbiamo impegnarci, a cominciare dallo Stato.

Alla Convenzione di Istanbul sono seguiti diversi provvedimenti legislativi in tema di violenza, a partire dal cosiddetto “decreto femminicidio”, poi convertito in legge. Una legge che prevede una serie di misure penali e di procedura penale per tenere lontano gli uomini violenti e proteggere maggiormente le donne.

Ma c’è stato anche il provvedimento sugli orfani di femminicidio, approvato all’unanimità qui alla Camera e per il quale si attende a breve il sì definitivo del Senato, che veramente aspettiamo con molta ansia.

Non sono neanche qui a negare che ci possano anche essere state delle manchevolezze e delle lacune. È accaduto per esempio con il reato di stalking, che per effetto della recente riforma del processo penale può essere estinto con un risarcimento da parte del persecutore: il quale così può farla franca in barba anche al volere della vittima. Ma a giorni, vi anticipo, questo errore sarà corretto. Quando si sbaglia bisogna ammetterlo e con umiltà correre ai ripari; ed è quello che stiamo facendo.

Così come c’è da auspicare che venga aumentato l’indennizzo che lo Stato riconosce alle vittime dei reati violenti. Auguriamoci che venga aumentato, è necessario che questo venga fatto.

È evidente, però, che le leggi non bastano. Il problema è culturale.

È questo il punto decisivo. Agli uomini è richiesto di fare un salto in avanti: uscire finalmente da una cultura, da una mentalità, che per secoli, per millenni, ha ridotto la donna a una proprietà.

Ecco perché è fondamentale agire contro la violenza andando alle radici: impegnarsi sul piano educativo già in tenera età, insegnando ai bambini e alle bambine la parità di genere, il rispetto per le donne e per la loro libertà. Le donne devono poter dire no ed essere rispettate!

Seguono lo stesso percorso il Piano per l’educazione al rispetto e alle differenze e le Linee guida per l’educazione alla parità, presentati dalla ministra Fedeli a fine ottobre. Vanno in questa direzione e noi la ringraziamo.

Molte di voi hanno espresso anche preoccupazione per un femminile che regredisce – così mi avete detto nell’ultima riunione – e non acquista mai centralità nel dibattito pubblico e politico. Mi avete espresso preoccupazione per quell’atteggiamento mentale, quel «benaltrismo» che troppo spesso viene invocato quando si parla di questioni di genere. C’è ben altro che conta di più, che è più importante.

Invece questa giornata va nella direzione opposta!

Questa giornata mette le donne al centro del dibattito, perché se noi siamo qui è perché non saremo mai ignorabili. Questo è il senso: mettere al centro del dibattito le tematiche che ci interessano.

Nelle ultime settimane c’è stata anche la questione odiosissima delle molestie sul luogo di lavoro. Il caso Weinstein ha scoperchiato questa vergogna nel mondo glamour del cinema negli Stati Uniti, provocando un terremoto in tanti altri ambiti della società.

In Italia non ha avuto certo lo stesso effetto. Nel nostro Paese questo tema fatica ad affermarsi. Mi farebbe piacere, ve lo dico sinceramente, se ciò accadesse perché non ci sono molestatori, e dunque, giustamente, chi deve denunciare? Ma ho paura che non sia così.

La verità, care amiche, è che le donne tendono a non denunciare le molestie – e purtroppo, ci dice l’Istat, neanche le violenze e gli stupri – perché temono di non essere credute, temono di perdere il lavoro. Per questo motivo, non perché non ci siano i molestatori! Perché sanno che in questo Paese persiste un fortissimo pregiudizio contro di loro, quasi che debbano giustificarsi di aver denunciato. E invece no, i violenti vanno denunciati! Perché non sarà una non denuncia a salvarvi! Dovete denunciare!

E’ il momento di non stare più zitte. Zitte per paura, zitte per vergogna, zitte per la speranza che tutto prima o poi si aggiusti. Zitte per quieto vivere. Ma quando c’è di mezzo la violenza, niente mai si rimette a posto. E il silenzio non è un rifugio. Non offre vie di scampo.

  • Il silenzio divide, è la parola invece a unire.
  • Il silenzio isola, è la parola invece ad aggregare.
  • Il silenzio uccide, è la parola invece a salvare.

Per questo oggi voglio dare la parola a voi. Voi che il silenzio l’avete rifiutato.

Voi che avete deciso da tempo di parlare e di riprendervi la vostra libertà. Per questo oggi voi avete diritto di parola in questa Aula.

Ma quest’aula oggi dice molte altre cose. Dice che siamo unite e siamo tantissime! Qui a Montecitorio come nel Paese. Perché noi donne siamo il 51% della popolazione. E questo non significa qualcosa, secondo voi? Siamo la maggioranza, non una sparuta minoranza! Non ci possiamo sempre comportare da minoranza esigua!

E sappiamo farci sentire!

Sappiamo trovare la forza di rialzarci e parlare pubblicamente senza vergogna, anche della violenza. Noi sappiamo fare questo.

E il Paese non può ignorarci più.

Il Paese non può ignorarci più!

Vi ringrazio.

Laura Boldrini

  1. Testo del discorso diffuso dalla Camera dei Deputati pronunciato nell’aula di Montecitorio davanti a 1.300 donne giunte da tutta Italia per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne
  2. qui il video dell’evento

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