Diversamente da quel 25 Aprile liberatorio del ’45, che festeggiava l’uscita dell’Italia dall’incubo della guerra contro il nazifascismo, oggi nelle piazze italiane dell’Anpi si respiravano i venti di guerra provenienti dalle grandi città e dalle immense pianure dell’Ucraina.

Preoccupazione e dolore portato, come a Milano, direttamente dalle testimonianze delle donne ucraine, che una mattina, del 24 febbraio 2022, si sono svegliate e hanno trovato l’invasore. Due di loro erano ieri sul palco della grande manifestazione milanese, chiamate a raccontare la fuga dal loro paese, costrette ad abbandonarlo, insieme ad altri cinque milioni di connazionali, dalla brutale guerra putiniana.

La guerra ferisce e nello stesso tempo rinnova, questo 25 Aprile, che si celebra proprio nel mezzo di una guerra di trincea e di bunker, che torna a insanguinare e uccidere decine di migliaia di persone nel centro del continente europeo, contro una popolazione di 40 milioni di abitanti, bombardata ogni giorno ormai da due mesi, con sempre maggiore violenza e sete di conquista.

Quella devastante barbarie della seconda guerra mondiale rischia di ripresentarsi se non si riuscirà a fermare chi l’ha innescata, accanendosi senza pietà contro le popolazioni civili, contro le sedi delle istituzioni, contro le infrastrutture per distruggere, insieme al presente, anche il futuro.

In un momento così drammatico, travagliato e difficile, il tema della Resistenza, che insieme al la lotta partigiana è espressione e radice fondativa della Repubblica e della Costituzione, si è necessariamente incontrato e scontrato con l’attualità delle trincee ucraine, con la difesa in armi contro l’esercito nemico.

E la strumentalità degli attacchi, vecchia storia di tanti 25 Aprile passati, per la discussione che ha attraversato il mondo della sinistra, ne è stata un elemento di inevitabile contorno.

Attacchi strumentali perché mai nessuno ha messo in dubbio la solidarietà con le vittime. E, fino a prova contraria, non è peccato interrogasi sulla politica estera europea o sulla credibilità e la patente di pacifismo di chi oggi si batte il petto per una popolazione martirizzata essendo seminatore di bombe e distruzione per mezzo mondo.

La discussione finalmente è giunta a un condiviso pensiero di riconoscimento e immedesimazione della «eroica resistenza», per dirlo con le parole di Noam Chomsky, del popolo ucraino. «Senza se e senza ma» dissolvendo equivoci e fraintendimenti, come ha sottolineato ancora ieri, rivolgendosi ai manifestanti giunti a Milano, l’attuale presidente dell’Anpi, favorevole a una pace che non significhi una resa delle vittime.

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Solidarietà, vicinanza, condivisione e aiuto senza tuttavia aggiungere a questa guerra, un’altra guerra (americana e inglese in tutta evidenza) contro la Russia, ma aiutando Kiev a stare in piedi per negoziare una pace giusta.

Un intendimento espresso anche dal presidente della Repubblica, ieri nella sua visita nella cittadina di Acerra, luogo di un efferato eccidio nazifascista. «Fermare subito, con determinazione – le parole di Mattarella – questa deriva di guerra, prima che possa ulteriormente disarticolare la convivenza internazionale, prima che possa tragicamente espandersi».

Obiettivo difficile di fronte a un dittatore che, per giustificare l’invasione, disumanizza gli ucraini negandogli il diritto di esistere come paese libero, e, coerentemente, premia chi li stermina come ha fatto con i massacratori di Bucha. Con tutto l’apparato mediatico mobilitato per trasmettere al popolo russo il devastante messaggio della guerra in Ucraina come una prima tappa, «un passaggio intermedio della messa in sicurezza del mondo russo» secondo i proclami di Vladimir Solovyov, tra i più noti conduttori televisivi del regime.

Una missione impossibile e tuttavia tentata fin dai primi giorni, sopratutto dalla Francia e dalla Germania, con ripetute, e infruttuose visite a Mosca. E che ora, con la vittoria di Emmanuel Macron, alle presidenziali francesi, e lo scampato pericolo dell’affermazione della putiniana Marine Le Pen, potrà essere rinnovata.

Proprio oggi a Mosca è atteso il capo dell’Onu Guterres, leader di un’istituzione attraversata da inedite difficoltà, come i ripetuti voti di astensione contro la guerra di Putin hanno evidenziato.

Una visita purtroppo anticipata dal capo del Cremlino che ha respinto ogni richiesta di cessate il fuoco. Avvalorando così la previsione che non si fermerà finché non avrà la percezione che con le armi non riuscirà a ottenere quello che vuole, cioè moltissimo, in pratica tutto il sud-est dell’Ucraina, privandola di ogni sbocco al mare.