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Il 25 aprile dell’arte

Il 25 aprile dell’arte

Pensieri e parole Diversi lavoratori e lavoratrici del mondo dell'arte e dello spettacolo prendono parola sul valore attuale della Liberazione e della libertà

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 21 aprile 2024

L’incantamento della democrazia

Abbiamo il mare tutto intorno, ci circonda l’incantamento di oscure sirene. La voce dice che siamo liberi, possiamo dire di essere antifascisti, possiamo gridare in un teatro «Viva l’Italia antifascista». Possiamo non avere più paura. La voce delle sirene incantatrici dice che dobbiamo solo celebrare un giorno importante e che la Costituzione è al sicuro da qualsiasi attacco.
Altre voci rispondono. Azar Nafisi ci insegna che esistono luoghi di resistenza fatti di immaginazione, Adana Shibli che in altri luoghi il tempo è strano, si ferma e ti viene portato via, Michela Murgia che anche in tempesta si coltiva la libertà.
Il 25 ha forse anche il sapore dell’auspicio, un diverso tipo di incantamento. Qualcosa che guarda al domani. Questo 25 aprile è ciò che ci tiene ancora legati all’albero della nave, lucidi nella resistenza, di fronte alla realtà che anche nella nostra democrazia viviamo in pieno regime.

Linda Dalisi, regista e drammaturga

 

Scendo in piazza per fare corpo unico

La memoria privata tende a scollarsi da quella collettiva e a ridursi a promemoria mediatico.  Uscire di casa, scendere in strada e fare corpo unico sintonizza su un modo di pensare non domestico. Oggi la parola «Liberazione» torna a risuonare e scendo in piazza il 25 aprile a Milano per metterne in comune i contenuti vivi e scoprire insieme quale può essere il nostro 25 aprile.
Auscultazione che solo la presenza fisica rende possibile.

Giovanna Giuliani, drammaturga e attrice

 

Quelle mani della destra sulla cultura con la complicità degli indifferenti

Ho davanti agli occhi un libro che mi a regalato un caro amico, Odio gli indifferenti di Antonio Gramsci. L’indifferenza colpisce più della presa di posizione contraria, crea sabbie mobili in cui affondiamo tutti. È qualcosa che non appartiene alle giovani generazioni: loro sentono molto, e in modo più globale, che questo mondo gli sta sfuggendo di mano. Invece questo essersi seduti, addormentati, le sinistre che si combattono tra di loro, tutto questo ha fatto dimenticare quel tipo di unione che ha creato una forza.

Credo che questa indifferenza, il ritenere che ci siano delle cose superate o superabili, sia l’errore. Napoli ha avuto una storia di resistenza molto importanti. Io continuo ad avere fiducia, anche nel pubblico che assiste, penso che i corpi non comunichino mai gelo e che non ci siano idee disseminate sul palco ma delle parole che bruciano. In questo momento stiamo assistendo a un’infiltrazione politica all’interno della cultura, viene da pensare che gli anni tremendi di Berlusconi siano stati più democristiani di quello che pensavamo. Oggi la restaurazione procede in un modo ideologico, stanno cercando di mettere le mani, i piedi e la testa dentro le istituzioni, manovrarle dall’interno. Non so questo a cosa porterà. Ci sono figure che hanno scelto di entrare dove non sono mai entrate prima – vedi il Centro Sperimentale di Cinematografia, il Piccolo di Milano, il Teatro di Roma. Il mondo dell’arte incontrerà sempre persone che si sentono escluse.

Penso che bisognerebbe dare più ascolto alle nuove generazioni, sento che loro riescono ad avere uno sguardo lucido, vedono lo stato delle cose, vivono una dimensione che non è più agganciata alla generazione dei padri. Scoprono una dimensione politica: sentono quello ciò noi non sentiamo più.

La Resistenza italiana si è manifestata in uno stato di guerra. Mentre per noi resistere significa cercare la cura. Cosa significa che resistiamo? Che nonostante le enormi difficoltà cerchiamo di attivare una comunicazione critica, uno sguardo critico, una resistenza intellettuale. Riconosciamo un tentativo ideologico dall’altra parte. Ci sono persone che hanno interesse a entrare nei premi, nelle istituzioni teatrali, nelle scuole di cinema perché voglio far passare la loro impostazione. E purtroppo trovano ascolto. Anzi: trovano indifferenza.

Lino Musella, regista, drammaturgo e attore teatrale

 

La liberazione tutti i giorni

Ci sono delle categorie sociali per cui il 25 aprile è tutti i giorni. Può sembrare retorico ma è così. Liberazione da una serie di costrizioni economiche, sociali, culturali; nel caso specifico di ciò di cui mi occupo, anche la disabilità è una grande privazione verso cui fare la propria resistenza quotidiana. Penso a questo piccolo plotone di genitori e figli, le persone con cui lavoro e mi relaziono, oppure agli homeless, le fasce sociali più dimenticate. Un popolo artigiano che si deve liberare continuamente da uno stato sociale che ormai abbiamo completamente distrutto. Conoscere, guardare gli invisibili dovrebbe ricordarci che la Costituzione sancisce in diversi articoli il diritto degli ultimi come bene primario inderogabile. I venti che spirano minacciano questo valore indiscutibile che nasce dalla Resistenza partigiana e antifascista. La liberazione ha senso, eccome, e ha senso tutti giorni.

Davide Iodice, regista e drammaturgo

 

Abbiamo perso il senso del pericolo

Ogni volta che penso al 25 aprile, più che come la conclusione di qualcosa, la fine di una resistenza eroica, la considero come l’inizio di quello che c’è stato dopo. Penso a quelle persone che hanno fatto direttamente o non direttamente la Resistenza, persone con orizzonti culturali politici sociali completamente diversi, che hanno deciso di sedersi a un tavolo per ricostruire un paese. Dai liberali ai comunisti ai cattolici: hanno deciso che c’era un’esperienza che non bisognava mai più ripetere e hanno messo insieme un sistema di regole, una carta comune che permettesse alla comunità di ricostruirsi.

Penso che oggi manchi questo. Ognuno pensa che la propria lettura del mondo debba prevalere su quella degli altri. Mi rendo conto, quando parlo con le persone, ascolto la tv o la radio, che ognuno pensa di avere la ricetta: ci si mette insieme solo se gli altri condividono la propria visione del mondo. Il mondo che condivide i valori della Resistenza e della Costituente è variegato, dovrebbe rimettersi insieme. Abbiamo perso la memoria, la consapevolezza del pericolo. Durante la Costituente, al contrario, la sensazione del pericolo era ancora molto tangibile, si sono messi insieme per scongiurarlo. Dal punto di vista economico, decidono poche potenze, i margini sono pochi. Il piano su cui agire è squisitamente culturale, ma in questo momento sento che abbiamo perso la consapevolezza del pericolo a cui andiamo incontro.

Leonardo Di Costanzo, regista cinematografico

 

IMPARATE DAI BAMBINI

Grandi, il vostro girotondo
non ci piace perché è guerra
voi giocate con le bombe
“Tutti quanti giù per terra!”.

Noi giochiamo a nascondino
senza morti e senza lutti
si fa tana e al grido “Pace!”
liberiamo sempre tutti!

Janna Carioli Autrice di programmi tv per ragazzi (Melevisione, Bumbi, Nefertina) ha composto la filastrocca

 

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