I vescovi a gamba tesa: «No al suicidio assistito»
Eutanasia "illegale" Ultimo appello ai giudici della Consulta chiamata a esprimersi dopo il caso di Dj Fabo. Per la Chiesa quella sul fine vita è una battaglia campale, dopo tante sconfitte
Eutanasia "illegale" Ultimo appello ai giudici della Consulta chiamata a esprimersi dopo il caso di Dj Fabo. Per la Chiesa quella sul fine vita è una battaglia campale, dopo tante sconfitte
I vescovi italiani intimano l’altolà ai giudici della Corte costituzionale: non cedano alla «tentazione» di dire sì all’eutanasia e di «ammettere il suicidio assistito» nel nostro ordinamento. Oggi infatti la Consulta si riunirà per sentenziare sulla costituzionalità dell’articolo 580 del Codice penale (che punisce l’aiuto al suicidio), dopo la decisione della Corte d’Assise di Milano di sospendere il processo contro il radicale Marco Cappato, che nel febbraio 2017 accompagnò Fabiano Antoniani, detto Dj Fabo, rimasto tetraplegico e non vedente in seguito a incidente stradale, in una clinica di Zurigo per sottoporsi al suicidio assistito. Qualora la Corte dovesse decretarne l’incostituzionalità, Chiesa italiana e Vaticano temono che eutanasia e suicidio assistito diventino leciti.
COSÌ IERI, NELLA PRIMA giornata dei lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (in cui si è parlato anche di migranti, respingendo tutte le «chiusure», e di politica, incoraggiando il nuovo governo a perseguire il «bene comune»), monsignor Mario Meini, vescovo di Fiesole e vicepresidente della Cei (che ha tenuto l’intervento introduttivo al posto del presidente Gualtiero Bassetti), ha usato parole nette contro ogni ipotesi di via libera all’eutanasia. La «centralità della persona per noi si traduce anche nell’impegno a unire la nostra voce a quella di tanti, a partire dalle associazioni laicali, per dire la contrarietà al tentativo di introdurre nell’ordinamento pratiche eutanasiche», ha detto Meini. «È difficile non essere profondamente preoccupati rispetto alla possibilità di ammettere il suicidio assistito, promosso come un diritto da assicurare e come un’espressione della libertà del singolo. Anche se ammantate di pietà e di compassione – ha concluso -, si tratta di scelte di fatto egoistiche, che finiscono per privilegiare i forti e far sentire il malato come un peso inutile e gravoso per la collettività».
DUE SETTIMANE FA era stato il presidente della Cei Bassetti a intervenire in un incontro su «Eutanasia e suicidio assistito» organizzato da un’ottantina di associazioni cattoliche raccolte nel tavolo «Famiglia e Vita» (fra cui Forum famiglie, Movimento per la vita, Associazione Scienza e Vita, medici cattolici, psicologi e psichiatri cattolici). «Va negato che esista un diritto a darsi la morte, vivere è un dovere, anche per chi è malato e sofferente», aveva detto il capo dei vescovi italiani, preoccupato per quello che potrebbe avvenire dopo la sentenza della Consulta: «Se si andasse nella linea della depenalizzazione, il Parlamento si vedrebbe praticamente costretto a regolamentare il suicidio assistito». E se ciò avvenisse, proseguiva Bassetti, ci si avvierebbe lungo un «piano inclinato» per cui «diverrebbe sempre più normale il togliersi la vita, per qualunque ragione e con l’avallo e il supporto delle strutture sanitarie dello Stato».
Tre giorni fa, parlando ai rappresentanti degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, anche papa Francesco aveva fatto sentire la propria voce: «Si deve respingere la tentazione, indotta anche da mutamenti legislativi, di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia. Si tratta di strade sbrigative di fronte a scelte che non sono, come potrebbero sembrare, espressione di libertà della persona, quando includono lo scarto del malato come possibilità, o falsa compassione di fronte alla richiesta di essere aiutati ad anticipare la morte».
TANTO ATTIVISMO si spiega perché per la Chiesa quella sul fine-vita è una battaglia campale, forse l’ultima, dopo tante sconfitte, per puntellare quel che resta dei «principi non negoziabili». Ma che difficilmente reggerà all’urto di una società ormai secolarizzata ed emancipata. «Speriamo che la Corte non ceda alle pressioni politiche e garantisca a ogni persona irrimediabilmente sofferente di concludere la vita senza essere lesa nella sua dignità», l’auspicio di Patrizia Borsellino, presidente del Comitato per l’etica di fine-vita.
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